06
Feb
22

Il cognac sconfigge la pandemia – analisi dell’anno d’oro 2021

Il cognac non si è fatto sconfiggere dalla pandemia: le vendite del 2021 hanno registrato una stagione eccezionalmente felice, segno che si continua ad apprezzarlo in giro per il mondo, nonostante le restrizioni alla socialità. Che il cognac sia anche un antidoto al virus, come dicevano cent’anni fa?

Il bicchiere ideale per il cognac – da SudOuest.fr – foto di Aurelien Terrade

Rispetto al 2020 il rialzo delle vendite in valore è stato del 30,9%, e in volume del 16,2%, con un mercato di bottiglie equivalenti pari a 223,2 milioni, realizzando un fatturato al momento dell’export dalla Francia di 3,63 miliardi di euro. I profitti delle aziende tramite le filiali estere sono ovviamente maggiori quando applicano i ricarichi al prodotto.

Infografica delle vendite di cognac 2021 – fonte BNIC

La pandemia a Cognac è stata quindi debellata, considerando il rialzo del fatturato dell’1,6% sul 2019, l’ultimo anno pre-covid. La spinta come sempre è venuta dai mercati americano e cinese, che assorbono da soli circa il 70% della produzione totale di cognac di ogni anno. Il mercato cinese in particolare è cresciuto di uno stupefacente +55,8%, segno che le restrizioni al consumo di beni di lusso imposte dal governo, sia pure in chiave anticorruzione, non hanno fatto gran presa in una società sempre più ricca e disposta a spendere fortune in prodotti a forte contenuto di status symbol, atteggiamento che esplode in particolare durante il Capodanno cinese, in corso in questi giorni nel 2022.

Dall’organizzazione di filiera – il BNIC – si stima che sarà necessario incrementare le superfici vitate di circa 3000 ettari – il 4% – ogni anno, per far fronte alla domanda sempre crescente di cognac, oggi sostenuta dai generosi stock accumulati negli anni passati: ma ovviamente incapaci di reggere una domanda così robusta. Per l’anno corrente verranno messi a dimora 3129 ha di nuove vigne, sugli 80561 ettari già in produzione.

I problemi maggiori ovviamente vengono dalle corazzate del settore, che nonostante possiedano degli imponenti depositi, gigantesche cattedrali alcoliche, non riescono più a fronteggiare la domanda. La sola maison Hennessy ha venduto l’anno scorso 102,6 milioni di bottiglie, dichiarandosi incapace in futuro di servire tutto il mondo: per cui sarà costretta ad inaugurare un sistema di assegnazioni simile a quello delle maison del vicino Bordolese. La concorrente Rémy Martin ha annunciato anch’essa un rialzo delle vendite sul 2020 del 40%.

La tendenza attuale si sta orientando verso il consumo domestico a spese della miscelazione nei locali pubblici, che pure resta il perno intorno a cui gira la comunicazione delle grandi aziende, e verso l’innalzamento di gamma della domanda. Quindi non più soltanto acquisti di cognac giovani e giovanissimi, ma di qualità più mature ed espressive; complice la facile reperibilità dei prodotti, favorita anche dalla vendite online, un canale in crescita esplosiva, che è ormai praticata dalla maggior parte delle aziende produttrici, con l’esclusione dei marchi più organizzati, la cui distribuzione è strutturata da decenni e diffusa in ben 150 Paesi.

L’eau-de-vie di Cognac neonata – fonte SudOuest.fr

Il rialzo della qualità dell’offerta è anche dovuto all’allungamento dei tempi minimi di invecchiamento per i cognac di fascia XO, ed alla recente introduzione della fascia XXO (extra-extra old), come ulteriore categoria legale, per dare alle maison un’arma commerciale in più. Lo si vede nel forte incremento a valore del venduto, assieme alla generale tendenza al rialzo dei prezzi di ogni categoria di invecchiamento, prima assai cauto.

Si annunciano tempi di grandi sorrisi nelle due Charentes.

© 2022 il farmacista goloso (riproduzione riservata)

26
Dic
21

Dieci anni con voi

Questo blog ha compiuto dieci anni. Non sono passati in un momento, e nel mondo di internet sono un’eternità. Dovrebbe essere quindi tempo di bilanci, ma mi limiterò a qualche considerazione: quelli li faranno i lettori.

Il logo di Cognac & Cotognata

Ho condiviso con voi il mondo dei distillati di vino e la sua cultura, il suo antico saper fare, i territori, i prodotti. L’obiettivo era ambizioso già alle origini nel 2011:

una pagina da offrire a tutti coloro che vogliono capire, leggere, bere, appassionarsi, discutere insieme, o semplicemente incuriosirsi un po’; non c’è esterofilia in questo gesto, ma semplicemente una grande passione da condividere con altri in rete.

Ci sono riuscito? Lo potrete dire solo voi.

Lo strambo titolo è nato per caso a tavola con gli amici, un abbinamento curioso tra il nobile distillato francese e la popolana conserva italica, tentato più che altro per affinità di colore, e che funzionava pure al palato. Doveva essere uno tra i tanti scanzonati blog di esperienze gastronomiche le più varie, ed invece ha preso subito una piega ad alto grado, concedendosi qualche divagazione qua e là.

Negli ultimi anni la frequenza degli articoli si è diradata, anche per la collaborazione con un altro blog ben più famoso, cercando però di mantenere la ricchezza e la puntualità di informazioni che vi ho sempre promesso. E grazie al fatto che questo blog non genera alcun profitto, l’equazione zero conflitti di interesse uguale indipendenza e obiettività rimane valida.

Ogni tanto ho pensato di smettere di scrivere, ma resta sempre qualcosa di curioso da dire e da offrire ai miei lettori un po’ alla volta.

Negli anni sono cambiati gli strumenti ed il modo di accedere alle informazioni sulla Rete, e forse anche i blog sono diventati obsoleti. Oggi contano più le immagini, i like, gli influencer che non sono nient’altro che accattivanti pubblicitari non dichiarati, ed un consumo vorace e istantaneo dei contenuti. I blog sono come delle polverose enciclopedie, faticosi da leggere, ma distillati di esperienze e di emozioni personali: cose che restano e che arricchiscono il lettore paziente.

Per il mondo del brandy non esisteva una comunità di appassionati come quella del whisky, che conta decine di migliaia di persone solo in Italia, e non esiste tuttora. Questo è un grande rammarico: se volete trovarla però, andate in Norvegia.

Il cognac, ed ancora di più l’armagnac restano distillati poco conosciuti e nonostante tutto fuori moda. La domanda è: fino a quando? I prezzi in crescita dicono che non mancheranno troppi anni.

Se però in questo decennio avrò appassionato ai distillati di vino anche solo qualcuno dei frequentatori di Cognac & Cotognata, sono certo che costoro non smetteranno di berli e di riconoscere la loro superiorità su tutti gli altri fratelli alcolici. Vi basterà provarci, non è presunzione né boria: solo placida realtà.

Finisce tutto qua? No, per ora il blog rimane sulla Rete, anche se verrà aggiornato assai saltuariamente, anche per le restrizioni ai viaggi ed agli eventi: succedono troppo poche cose interessanti in questi ultimi tempi. Perdonatemi, e se vi piace, continuate a leggere. Grazie.

Buon anno nuovo a tutti i lettori di Cognac & Cotognata.

20
Dic
21

Cognac ed armagnac di nicchia, per sognare a Natale

Al pubblico non così appassionato, il mondo del cognac e dell’armagnac di nicchia appare come il dark web, qualcosa di cui si sospetta l’esistenza ma non si ha idea di dove andarlo a cercare.

Le nicchie nei distillati non sono una novità, e sono state ampiamente sfruttate nel mondo del whisky e del rum, con imbottigliamenti esclusivi da singole botti, da partite eccezionali, da distillerie chiuse, ed altre rarità ed amenità, che spesso raggiungono il mercato più come beni da collezione invece di essere incontri con distillati straordinari. Non è il loro scopo, e malauguratamente originano un antipatico mercato secondario – detto reselling – per cui la bottiglia comprata a cento il giorno dell’offerta in vendita, dopo ventiquattr’ore si trova su altri siti in vendita a trecento o mille. Chi le stappa viene considerato un pazzo o uno sprovveduto. Assurdità che nascono senz’altro motivo che l’avidità: cosa che non riguarda i veri appassionati, a cui interessa il contenuto ed il suo valore organolettico, non certo quello monetario.

Nel mondo del cognac e ancora più dell’armagnac questi distillati straordinari esistono con relativa frequenza, e dormono i loro lunghi sonni nascosti nelle bottaie, a meno che qualche distillatore, o più spesso qualche imbottigliatore indipendente venga a baciare la botte ed a risvegliare la sognante acquavite.

Da un lato si tratta di creare interesse sui distillati di vino, proponendo in vendita delle bottiglie che portano in luce alcune caratteristiche o qualità singolari, altrimenti appiattite nella miscela con cognac ed armagnac più ordinari, dall’altro di allargare la gamma della propria maison, che è vista erroneamente dal consumatore abituato ad altri distillati come ridotta.

Gli imbottigliatori indipendenti e le case di negozianti-affinatori battono le campagne a caccia di queste botti, per offrire ad un pubblico necessariamente piccolo di appassionati e soprattutto di fini conoscitori qualche delizia o delle acquaviti rare e pressoché irreperibili sul mercato ordinario.

A Cognac è piuttosto semplice imbattersi in una felice trouvaille, alcuni negozi fisici ed online propongono svariate bottiglie insolite per chi vuole togliersi uno sfizio oppure una curiosità accademica. In Armagnac il mercato è dominato dai grossisti-affinatori; con l’eccezione dei distillatori più famosi e strutturati nella distribuzione internazionale, è quasi impossibile aver accesso ad etichette prodotte dai piccolissimi domaines in poche centinaia di bottiglie all’anno: bisogna andare almeno a Tolosa, oppure avere la fortuna di un amico di ritorno dalla Guascogna. Comunque mai arrendersi, gli imbottigliatori indipendenti e qualche tenuta attiva nel commercio elettronico spediscono dovunque le loro chicche. Volete qualche idea fuori dagli schemi? Voilà, messieurs.

Delamain – Collection Revelation – Ambleville 1995: da una delle più blasonate maison della regione, un cognac millesimato di 26 anni, da una singola botte proveniente da uno dei migliori villages della Grande Champagne. Esclusivo, anche nel prezzo.

Michel Forgeron – Le Cépage – Folle Blanche: bella Maison della Grande Champagne, con vasta scelta di piccole partite di singole annate. Tutta la finezza della Folle Blanche, con la possibilità di fare addirittura una verticale monovitigno tra i millesimi dal 2005 al 2013. Incredibile.

Fanny Fougerat – Iris Poivré XO: giovane produttrice, ha ripreso la conduzione del domaine paterno (anche se acquista qualche lotto da fuori) e propone dei cognac d’autore dalle diverse zone di produzione, senza colorazione, né zuccheraggio, né filtrazione a freddo. Qui un distillato dalle vigne di famiglia delle Borderies, il cru più piccolo ed armonico dei sei del cognac. Preciso e sincero.

Grosperrin – Bons Bois 1992: di questa Maison si è già parlato e non si può dirne che bene, anzi di più. Guilhem è un grande cacciatore di cognac eccezionali, ed offre una ampia collezione di rarità assolute. Del tutto inconsueti sono i cognac dei petits crus, i più esterni, ed estremamente scarsi quelli millesimati a pieno grado come questo. Gourmand.

Jean-Luc Pasquet – L’Esprit de Famille – Le Cognac de Noël: maison tradizionale che produce cognac di carattere, ma da un po’ di tempo si dedica anche al négoce di piccole partite di pregio comprate da artigiani locali, questa volta da Noël Gay. Da Sainte-Lheurine, un piccolo Comune nella migliore area della Petite Champagne, un cognac single cask di ventisette anni distillato a fuoco di carbone, dolce e speziato. Natalizio di nome e di fatto.

Claude Thorin – Cognac Folle Blanche 2004: un cognac di 18 anni monovitigno e millesimato di un produttore artigiano della Grande Champagne, per apprezzare la finezza di questo distillato come poteva essere prima della fillossera. Eleganza di gioventù.

Authentic-spirits – Domaine de Baraillon – Folle Blanche 1989 (*) : un neonato imbottigliatore indipendente che propone lotti di qualità da singole botti scovate nelle campagne di mezza Francia. Questa Folle Blanche di un noto domaine del Bas-Armagnac è imbottigliata a grado pieno a 44°,9 dopo 32 anni di sonno indisturbato per darvi prugne cotte, pepe ed un pizzico di mentolo dal legno. Che la forza sia con voi, però con stile.

Château de Lacquy – Colombard 2001 (**) : il più antico dei produttori nobili del Bas-Armagnac delle Landes vi offre un single cask di Colombard a gradazione piena (46°). Del tutto raro in purezza, regala parecchia complessità: dal naso piacevolmente pâtissier, vi versa in bocca in abbondanza spezie, frutta candita e frutta secca. Finale lungo e cremoso. È Natale, del resto, no?

Château de Pellehaut – Folle Blanche 2000 (***) : la mano sicura dei fratelli Béraut vi porta nel Ténarèze, il secondo cru dell’Armagnac, con un distillato armonico, in cui la speziatura del legno non sovrasta mai la finezza floreale dell’antico vitigno. Una torta di pera, cioccolato e cannella in bottiglia, a 48°.

(*)   disponibile sul sito http://www.authentic-spirits.com

(**)  distribuzione in Italia: Cuzziol

(***) distribuzione in Italia: Ghilardi Selezioni

Le distribuzioni dei distillati si riportano per sola comodità del lettore.

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14
Nov
21

Francis Darroze – in memoriam

Francis Darroze, il padre del bas-armagnac moderno, è scomparso a Biarritz una settimana fa all’età di 85 anni.

Nipote del fondatore dell’omonimo albergo e ristorante aperto a Villeneuve-de-Marsan, nelle Landes della Guascogna nel lontano 1870, ne è stato per decenni chef e patron, dopo che suo padre Jean l’aveva innalzato ad uno dei migliori indirizzi del Sud-Ovest, grazie al suo apprendistato di cuoco nei migliori ristoranti della Francia.

Personaggio ben conosciuto nel mondo della cucina e dei distillati francesi, ha lasciato il segno attraverso la sua passione per l’armagnac, di cui era un fine intenditore.

Marc e Francis Darroze – fonte New York Times

Nei lunghi decenni di attività i Darroze avevano cominciato a proporre agli ospiti del ristorante una curatissima selezione di véritables eaux-de-vie régionales du Bas-Armagnac accumulata nei tipici pot gascon nelle proprie cantine; da buoni guasconi sapevano dove scovarli tra i numerosi produttori della loro provincia.

Tra la clientela e come consulente d’eccezione per la loro grandiosa carta dei vini avevano monsieur Baudouin, il fondatore della Revue du vin de France che, ammaliato dalla grandezza di questa acquavite, esortava il patron di farla conoscere al di fuori dei confini delle Landes. In effetti fino agli anni ‘60/’70 il bas-armagnac stentava nella diffusione, ancora regionale, e non era conosciuto se non approssimativamente nel resto della Francia ed all’estero. Il grosso dell’armagnac veniva infatti venduto in botte ai commercianti locali, i quali facevano e fanno tuttora blending e lo diluiscono alla gradazione standard di 40°. I maliziosi dicono che molte di quelle botti prendessero la strada di Cognac, per rinvigorire e dare corpo e profumo ai loro distillati esangui. Ma vogliamo immaginare che fossero tutte gelosie da provinciali.

Darroze fondò quindi nei primi anni Settanta la Société des Bas Armagnacs Francis Darroze, e cominciò ad imbottigliare uno stock di magnifiche botti da lui selezionate tra i produttori del bas-armagnac delle Landes. Quello dei vicini, appartenente all’altra provincia, il Gers, non ha mai avuto le sue attenzioni, perché lo considerava di qualità inferiore. Ancora una gelosia di provincia, ma non del tutto infondata. Le prove che Darroze portava in bottiglia lo dimostravano a sufficienza.

La sua filosofia è sempre stata di proporre alla sua clientela il bas‑armagnac imbottigliato nel suo stato più puro, cioè inalterato. Un vero bas-armagnac tradizionale deve essere distillato sul domaine, invecchiato in zona, e soprattutto non essere ridotto di gradazione con acqua, né miscelato ad altri distillati di diversa annata o produttore, né tantomeno additivato di zucchero, boisé o caramello. Sono difficili da bere, ma quanta soddisfazione, poi !

Le sue etichette recano l’indicazione di provenienza dal domaine in cui il bas-armagnac è nato, il millesimo di distillazione, e l’anno di imbottigliamento in vetro, oltre al nome della Maison Darroze. Quindi un bas-armagnac con queste caratteristiche mantiene in pieno la tipicità e le caratteristiche del territorio e del produttore, oltre che dell’annata di nascita, che è la qualità più conosciuta dell’armagnac.

Le prime bottiglie, provenienti da piccoli produttori o talvolta da grandi tenute della zona, leggendaria quella del domaine de Saint-Aubin, di cui Francis Darroze acquistò dopo infinite discussioni l’intero stock, formarono il suo biglietto da visita: vendute ai ristoratori amici nei migliori locali di Francia, furono un formidabile trampolino di lancio per l’oscura acquavite. A metà degli anni Settanta il mito del bas‑armagnac delle Landes era creato, e la fama di Darroze cominciava a girare tra gli appassionati di tutt’Europa e non solo, grazie alla domanda schizzata in alto. Di questa fama mondiale beneficiarono ovviamente gli altri produttori tradizionalisti della regione, primo tra tutti monsieur Laberdolive.

In pochi anni Francis Darroze era diventato più celebre come mercante di armagnac che come eccellente ristoratore, tanto da dover costruire una nuova sede per la sua attività poco lontano, a Roquefort. Qui dal 1982 ci si prende cura di ogni singola botte portandola a perfezione mentre invecchia. Una visita a questa sorta di museo del bas-armagnac è imprescindibile per ogni appassionato che si rispetti, benché questa località sperduta nelle campagne landaises non abbia alcun’altra attrazione. La cura e l’amore per il distillato d’Armagnac che questa maison, da anni ormai gestita del figlio Marc, porta avanti, fanno dimenticare che i Darroze non sono né distillatori né viticoltori; ma hanno saputo preservare e diffondere il carattere e lo spirito autentici della fiera acquavite di Guascogna.

La maison Darroze a Roquefort (Landes) – fonte: Tourisme Landes d’Armagnac

Non giudicate pertanto un armagnac, e segnatamente un bas-armagnac finché non avrete degustato una delle loro bottiglie. Benché non riuscirete più a trovare i loro primi imbottigliamenti, potete considerare ogni loro bas-armagnac millesimato come una pietra miliare da cui partire per comprendere il valore del resto della denominazione.

Francis Darroze lascia il suo négoce nelle solide mani del figlio Marc, e la storica locanda di famiglia in quelle della figlia Hélène, da anni celeberrima tra le cuoche di Francia col suo locale parigino, e patronne dell’omonima insegna, ora tristellata, nel glorioso Hotel Connaught nel cuore di Mayfair (Londra). Da noi appassionati le condoglianze alla famiglia.

© 2021 il farmacista goloso (riproduzione riservata)

20
Ago
21

Whisky Week Como – la vita ritorna a bere in compagnia

Si torna a bere ed a raccontarvi cosa succede in giro dopo questa interminabile pausa virale .Era ora! Il periodo pandemico che ha azzerato la vita sociale di tutti quanti, concede finalmente di rilassarsi un poco, complice la bella stagione e la vaccinazione di massa.

Se, a parte pochi temerari, è ancora difficile avventurarsi all’estero nei territori che offrono escursioni ed assaggi tra alambicchi e bottaie, qualcosa si muove sul fronte dei festival ad alta gradazione.

La prima possibilità di questa nuova stagione gravida di speranze ci viene offerta dal Whisky Club Italia, storica ed ormai ben strutturata organizzazione di appassionati del distillato di cereali, che si è fatta in quattro per preparare un nuovo evento, chiamato Whisky Week.

Whisky in Villa, la sede dell’evento – Vista della villa Revel Pallavicini dall’alto

La prima di queste settimane itineranti vedrà il battesimo a Como dal 25 agosto, per concludersi lunedì 30, con un ricco ed articolato programma fatto di incontri e degustazioni a tema whisky (e whiskey) tra i ristoranti, i bistrò, ed i cocktail bar della città, e perfino una golosa degustazione in volo sul lago, con l’esperto di whisky giapponesi Salvatore Mannino. Non mancheranno nemmeno altri assaggi a bordo di motoscafi a passeggio per le celebri località del Lario.

Una nutrita serie di locali ospiterà inoltre Whisky Fuori Villa, dove poter assaggiare un ventaglio di proposte maltate in città e nei dintorni del lago.

A coronamento della settimana, domenica 29 si terrà Whisky in Villa, un festival en plein air negli spazi della fastosa dimora Revel Parravicini, dove poter assaggiare imbottigliamenti classici, novità in uscita, e rarità da collezione, grazie ai numerosi espositori. Ci sarà l’imbarazzo della scelta, tra importatori, imbottigliatori indipendenti, e collezionisti di bottiglie impossibili, il tutto a bordo lago.

Confidiamo che questa sia la prima manifestazione che potrà riportare gli appassionati ai banchi di degustazione e ad incontrarsi di nuovo per discutere delle loro passioni. Ci piace pensare che la triste epoca delle degustazioni online, ovvero a distanza, per quanto sia stata utile nei momenti neri dell’epidemia, possa diventare prestissimo solo un ricordo sbiadito.

Ricordiamoci che le norme igieniche e di distanziamento interpersonale, benché l’evento principale si svolga all’aperto, saranno ancora importanti per ridurre al minimo i rischi di contagio. Il consumo responsabile di distillati farà il resto.

09
Apr
21

Il gelo di questi giorni ha reso più difficile la vendemmia 2021, ma a Cognac le provano tutte per difendersi

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Una torre antigelo installata nella Charente – a sinistra il bruciatore a gas

Le gelate tardive di questi giorni, dopo un assaggio di temperature abituali per giugno, che hanno fatto germogliare in anticipo a fine marzo le viti in tutta Europa, stanno compromettendo la futura vendemmia anche in Francia. Segnalazioni preoccupanti si sentono raccontare dalla Champagne fino alla Guascogna. Le viti dedicate ai grandi distillati francesi, sia in Armagnac che nelle due Charentes hanno sofferto discretamente del gelo, con estesi danni ai germogli.

A soffrire di più stavolta non sono state le vigne di valle, ma quelle in cima alle colline, a causa dell’intenso vento artico.

Dai corrispondenti a Cognac arrivano notizie di danni da discreti a notevoli, in considerazione delle temperature, scese nelle ultime due notti fino a -5°C. I raccolti vengono previsti inferiori di almeno un quarto all’ordinario, e aprile, il mese delle gelate tardive, è appena incominciato: la settimana entrante sono attese purtroppo altre gelate: si teme il ripetersi dell’annus horribilis 2017, quando si perse fino al 90% del raccolto.

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E benché i vignaioli di Cognac siano soprannominati cagouillards (all’incirca lumaconi), non sono restati con le mani in mano a guardare i germogli perire.

Negli anni sono state installate 79 torri antigelo, delle specie di pale eoliche alte 11 metri affiancate da un bruciatore a gas, che muovendo l’aria la riscaldano, ed impediscono le saccature di freddo nella zona trattata. Ogni pala difende circa 5 ettari di vigneto, e sembra essere piuttosto efficace. Unico effetto collaterale, il rumore poco accettabile di notte. Esistono altre soluzioni trasportabili, che lavorano con grossi ventilatori a livello del vigneto, ma sono decisamente meno efficienti degli impianti a torre. Altri coltivatori, ancora meno dotati di mezzi, hanno versato grandi mucchi di paglia sui capofila delle vigne, dandogli fuoco nel tentativo di smuovere l’aria fredda. Anche qui proteste dai vicini per l’odore di fumo, e risultati assai poco certi.

Cosa non si fa per un litro d’alcool in più !

© 2021 il farmacista goloso (riproduzione riservata)

18
Gen
21

L’armagnac, il grande dimenticato tra i distillati invecchiati.

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Qualche giorno fa la nota rivista francese Whiskymag pubblicava un articolo con un interrogativo interessante: perché l’armagnac, una delle più belle acquaviti che ci siano, non ottiene visibilità né interesse tra gli appassionati di alcolici, pur avendo tutte le carte in regola per essere très fashionable?

Mi è venuto naturale di voler rivolgere la stessa domanda ai miei lettori, dal momento che l’armagnac è negletto e misconosciuto pure tra i nostri qualificatissimi amatori, gente che ha rivoltato ogni angolo delle Antille e della Scozia, o freme per l’ultima release di qualche microdistilleria del Sol Levante per tacere delle Figi. È davvero strano che ignorino quella miniera d’oro neanche troppo nascosta, a due passi da casa loro, che è la Guascogna.

E se l’articolista, la brava Christine Lambert, paragona l’armagnac al mezcal messicano, è solo perché i loro punti di contatto sono in apparenza condivisi, ed entrambi i distillati vengono messi in ombra dai loro parenti assai più celebri, il cognac e il tequila.

Lei argomenta che l’armagnac ha tutto quello che il consumatore avveduto apprezza in un distillato di tendenza: la provenienza da un terroir determinato, la fabbricazione in cui la mano artigianale si fa sentire, una lunga storia di produzione fatta in prevalenza dalle piccole Case. Dice la Lambert che l’armagnac spunta tutte le caselle dei requisiti che deve possedere un alcolico alla moda. E domanda provocatoriamente: perché non comprate quindi più spesso dell’armagnac?

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Purtroppo è facile risponderle. Madame dimentica una cosa fondamentale: che i distillati di vino sono démodé. E lo sono, badate, nei paesi latini, proprio i luoghi della loro produzione, poiché altrove, tra Stati Uniti e Nord Europa, godono invece di rinomanza e di buoni consumi. In Asia lo stesso. Ma tutto ciò non vale per l’armagnac, la grande madre delle acquaviti europee.

Le ragioni sono presto dette. Dove non c’è domanda non c’è distribuzione, e se non c’è distribuzione non c’è comunicazione, e non si crea nemmeno un minimo di curiosità. Per l’armagnac insorge un problema ulteriore, che si chiama volume produttivo. Tutta la produzione dell’armagnac nel suo complesso eguaglia la capacità di una sola – e piccola – distilleria scozzese. Va da sé che per un importatore proporre al pubblico un’etichetta di una maison oscura che ogni anno riempie da qualche centinaio a poche migliaia di bottiglie è faticoso e non paga il lavoro di promozione in termini di vendite. Stranamente il mezcal ed il clairin riescono ad avere più notorietà, con volumi simili o perfino minori. Che sia merito del fascino esotico?

All’armagnac pesa inoltre l’ingombrante fama del cugino ricco, il cognac. Lui sì che vende, lui è sulla bocca di tutti come lo champagne. Il campagnolo armagnac è schiacciato nell’ombra comunicativa proiettata dalla celebre acquavite charentaise e fatica a ritagliarsi una nicchia perfino in patria, nonostante la sua storia e la sua bontà. Il grosso dei suoi consumi si concentra infatti nella regione di Tolosa.

Le dimensioni delle aziende non aiutano di certo. Poco più di un anno fa ho tenuto un breve seminario di introduzione alle acquaviti di vino francesi al Milano Whisky Festival: parlando in seguito con la titolare di una celebre maison de négoce presente alla fiera, le chiedevo quante bottiglie trattassero per anno. La risposta fu quarantamila, circa quelle di un piccolo vignaiolo italiano. E bisogna proprio pensare a quello, quando si parla di armagnac: i vignaioli e distillatori (bouilleurs de cru) sono piccoli, se non minimi, ancor più rari quelli che vivono soltanto della produzione di armagnac, e le maison de négoce si contano in qualche decina. Sarebbero in verità gli equivalenti guasconi di Martell ed Hennessy, ed alcuni di loro, seppur carichi di quasi altrettanta storia, al confronto fanno la figura dei lillipuziani.

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Che fare quindi? Almeno parliamone.

L’armagnac può offrire all’appassionato di distillati una gamma emozionante di profumi e di sapori, ed un’esperienza ben più intensa di quella del cognac, per quanto più rustica. La concentrazione degli aromi e la notevole lunghezza del retrogusto fanno dell’acquavite guascone un traguardo impegnativo anche per il bevitore più smaliziato.

Non c’è bisogno di grandi invecchiamenti, se già a 15/20 anni un armagnac ha molto da offrire, e non è detto che più invecchi più migliori come certi cognac. Non fissatevi quindi su di un’annata precisa, o su di una bottiglia stravecchia e stracostosa, è tempo e denaro perso.

E soprattutto non giudicate questo distillato da ciò che vi offrono le Case commerciali; il loro armagnac, raccolto presso svariati distillatori e poi affinato nelle proprie cantine è quasi sempre un blend di acquaviti, come si usa a Cognac. Se siete vergini di Guascogna, è bene tuttavia cominciare da queste: che vengono diluite con acqua a gradazioni più basse dell’armagnac tradizionale, e rese meno spigolose e più facili da bere equilibrandole tra di loro, al prezzo di un minor carattere. Avrete fatto il primo passo verso un mondo emozionante, senza diventare matti nella ricerca della bottiglia impossibile.

I piccoli produttori invece sono molto spesso imbottigliatori a domanda che, se andrete a trovarli, vi serviranno il distillato direttamente dalla botte. Sono i gelosi custodi della tradizione più pura: da loro berrete gli armagnac d’annata a gradazione piena, senza la vergogna della diluizione con acqua. Qui il prezzo da pagare è di avere un distillato vuoi fiacco, vuoi troppo legnoso, o di scarsa finezza, o di eccessiva concentrazione, insomma disarmonico. Ma i vignaioli vi sapranno risarcire più che generosamente quando la bottiglia conterrà l’ammaliante equilibrio tra il frutto, il legno, l’alcolicità ben integrata, e una discreta dose di rancio. Càpita.

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C’è tanto da provare, se voleste approfondire i distillati del Gers e delle Landes. La Guascogna ha da offrire ben tre AOC, le denominazioni di origine francesi, e qualche centinaio di produttori. Dalla Blanche d’Armagnac, la vibrante acquavite non invecchiata, capace di sorprendere con la sua profumata energia nei cocktail, al localissimo e sconosciutissimo Floc de Gascogne, alla grande tradizione degli armagnac millesimati, fino alle raffinate distillazioni monovitigno – già, perché l’armagnac contempla dieci varietà nel suo disciplinare, benché quelle coltivate siano in pratica solo quattro – sfogliare il libro di questo alcolico carico di storia può riservare golose sorprese.

Sono distillati difficili da trovare? Alquanto, anche se i produttori più celebri sono importati ormai da anni in Italia; gli imbottigliatori commerciali sono invece reperibili un po’ dappertutto.

Sono alcolici di nicchia? Si, per la loro minuscola produzione e per l’incostanza delle annate, che riflettono quella del vino da cui derivano. Gli armagnac restano ancora troppo in ombra, ma una volta scoperti saranno in grado di recare enormi soddisfazioni a chi è alla ricerca di acquaviti profonde ed intense.

© 2021 il farmacista goloso (riproduzione riservata)

13
Dic
20

La Maison Fillioux e l’arte di fare il cognac

È quasi Natale, e il cognac in questo periodo ci sta proprio bene per creare l’atmosfera, come si diceva nelle pubblicità di un noto brandy di molto tempo fa.

46La_Pouyade- Grande Champagne

Il Domaine de la Pouyade – Juillac Le Coq

Vi propongo un breve video di una maison piccola e gloriosa, che non ha certo bisogno di promozione: i suoi prodotti parlano da soli, e chi conosce il cognac prima o poi arriva ad assaggiarli e ad amarli.

Il domaine si chiama La Pouyade, è medio/piccolo, a gestione familiare ed orgogliosamente indipendente dalle grandi case di négoce, ormai vere e proprie multinazionali. Qui abbiamo solo: la famiglia Fillioux, produttori di cognac da cinque generazioni, una casa padronale, la corte agricola, e tutt’intorno i vigneti della proprietà, in quella ristretta zona a sud di Segonzac, che è unanimemente considerata il Grand Cru della Grande Champagne, a sua volta il Prèmier Cru del cognac.

Gli alambicchi sono a poca distanza, in una distilleria professionale gestita da un’altra famiglia, ma la distillazione è seguita personalmente dai Fillioux, a garanzia della qualità dei cognac della maison.

Ma il segreto non è tutto qua: esso consiste anche nella perfetta maestria del legno, in tutte le sue sfumature, un argomento praticamente dimenticato dagli appassionati, a favore del tempo. I Fillioux ci insegnano questa grande lezione.

Guardate il filmato, se potete capire il francese ascoltatelo anche, e comprenderete tutto l’amore che c’è dietro la creazione di un grande cognac.

Buon Natale a monsieur Pascal, a Christophe, ed a tutti i miei lettori!

20
Nov
20

Per il bicentenario di Buton, Vecchia Romagna lancia una Riserva Anniversario extralusso

Sono passati duecento anni esatti, da quando Jean Bouton, un distillatore proveniente dalla provincia di Cognac, si è stabilito a Bologna. Trasformato il suo nome all’italiana, si diede al commercio di vini francesi ed alla fabbricazione dei liquori, all’epoca assai più alla moda e bevuti che i distillati, e fondò nel 1830, in società con un pasticcere bolognese, la Gio. Buton & C., la prima distilleria a vapore d’Italia.

L’azienda crebbe florida, con i suoi mille liquori, il più famoso dei quali fu la Coca Buton, di grandissima moda sul volgere del secolo decimo nono, assieme al vino cocato, che impazzava tra teste coronate, papi e high – society. Ma Buton non ebbe successori, finendo per lasciare l’azienda al socio, il cui figlio la rese ancora più rinomata. Il cognac Buton rimase tra le specialità della ditta, ben richiesto dalla clientela.

Quando la Buton passò per matrimonio dell’ultima erede nelle mani dei marchesi Sassoli de’ Bianchi, al cognac venne dato, per felice intuizione di uno dei proprietari, un marchio distintivo ed un contenitore triangolare immediatamente riconoscibile, diventando la Vecchia Romagna che tutti conoscono ancor’oggi. Era il 1939.

La ditta tra alterne fortune non smise mai di produrla, nemmeno con la grande crisi degli anni Ottanta del Novecento. Ma i proprietari, seguendo una tendenza inesorabile per tutti i marchi storici della liquoreria italiana, nel 1993 cedettero la Buton per 86 miliardi di lire di allora alla multinazionale Diageo, la quale a sua volta la rivendette pochi anni dopo al gruppo alimentare e liquoristico Montenegro, che fece così tornare l’azienda a casa, a Bologna.

La Montenegro continua la produzione della Vecchia Romagna, che rimane il brandy più venduto in Italia, seppure bevuto tal quale sia diventato un consumo sempre più marginale; non la aiuta il fatto di essere un brandy di livello base, e quindi con caratteristiche poco attraenti per i bevitori di pretesa.

Ma l’anniversario era una buona occasione per far ricordare la storia del primo distillatore di brandy italiano, e dare una lustrata d’immagine ad un marchio che, nel bene o nel male, ha fatto la storia del brandy di casa nostra.

Ecco quindi Montenegro presentarci una celebrativa Riserva Anniversario, una Vecchia Romagna che mette il vestito della festa più grande, e sfodera un blend di elevato invecchiamento. I suoi cinque componenti sono stati in botte da 23 a 67 anni; la loro unione fornisce un distillato di grande struttura, in grado di competere con le bottiglie di fascia extralusso francesi.

Grazie all’invito alla presentazione, si è potuto assaggiare questo assemblaggio celebrativo: è indubbiamente un brandy profondo, dal naso charmant, profumato di frutta appassita, e di note speziate e legnose. L’assaggio rivela ancora meglio la profondità e la struttura del brandy, in cui ritornano le note olfattive: spezie e aromi di legno si fondono con un bel rancio. Il retrogusto è persistente, grazie al notevole invecchiamento del blend, e chiude con una nota legnosa amarognola.

La Riserva Anniversario sfoggia un elegante cofanetto in pelle pregiata, ed una bottiglia della celebre vetreria Salviati di Murano, con un design che ricorda nel lusso l’inconfondibile bottiglia triangolare originale. Tutto il buon gusto italiano è distillato in quest’esemplare d’occasione in 200 bottiglie, che si pone in concorrenza con le splendide caraffe dei cognac della fascia luxury. Anche il prezzo è splendido.

La Riserva Anniversario di Vecchia Romagna è orgogliosa di mostrare al mondo il valore del brandy italiano dalla lunga maturazione: purtroppo nessuna azienda ha creduto veramente nelle acquaviti invecchiate, limitandosi ad una produzione di brandy di grande volume e di modesta qualità; con l’eccezione di qualche appassionato artigiano, nel Bel Paese non esiste nulla di paragonabile all’industria del brandy spagnolo, per tacere dei francesi. Eppure avremmo potuto…

© 2020 il farmacista goloso  (riproduzione riservata)

01
Nov
20

La microdistillazione italiana è in movimento.

Martin Aurich, uno dei relatori, con alcuni colleghi – da https://www.distillatoriartigianali.it/

Da anni ci siamo abituati ad osservare il movimento della microdistillazione in America ed in Europa con una certa invidia, lamentando l’inconsistenza della scena italiana.

Si sa, gli ostacoli sono sempre i soliti: la burocrazia indecifrabile, le leggi adatte a produttori con impianti di raffinazione in stile venezuelano, le banche avare di capitali e di fiducia nell’impresa, eccetera.

Ma i tempi sono maturi, e l’onda della distillazione artigianale è pronta a travolgere anche l’Italia, seppure con qualche ritardo.

Stiamo assistendo ultimamente al fiorire di alcune realtà germinali, di pionieri che anticipano la tendenza. Come è stato per i birrifici artigianali, da alcune timide ma ferratissime aziendine è nato un movimento che conta oggi oltre mille microbirrifici dalla spiccata creatività. Sarà così anche per i distillati?

A connettere i punti ci hanno pensato il noto gastronomo e divulgatore Claudio Riva, ed il suo socio, lo scrittore Davide Terziotti, fondatori di Whisky Club Italia e del portale Distillerie.it, che il 27 ottobre scorso hanno realizzato e reso disponibile in rete la prima conferenza italiana sulla distillazione artigianale, o meglio, microdistillazione.

Un evento lungo una giornata intera, ricchissimo di ospiti nostrani ed internazionali e di interventi altamente qualificati.

Tutto quanto per portare alla luce esperienze e realtà imprenditoriali dai due lati dell’oceano, e dotare gli interessati degli strumenti necessari a valutare ed intraprendere un percorso professionale promettente e tutto da inventare: l’Italia è infatti ancora un campo pressoché vergine, fatte salve le piccole avanguardie.

C’è spazio quindi per buttarsi e fare impresa, distillando la creatività made in Italy, assai apprezzata in tutto il mondo. Basti pensare al successo planetario degli amari, dei vermouth e dei fernet, per tacere dei liquori storici. Il gin italiano, per raccontarne una nuova, conta ormai qualcosa come cento marchi sparsi nella penisola, e non smette di crescere e di vendere.

La conferenza, nei suoi numerosi interventi ha trattato tutti gli aspetti della microdistillazione, dalle tecniche di produzione, alla ricerca e sviluppo, dalla distribuzione al packaging ed alla grafica, dal marketing alle importantissime visite in azienda, e molto altro, con l’apporto delle esperienze dei più qualificati relatori del campo.

L’evento è stato pensato per chi vuole avvicinarsi al settore in maniera professionale, ma anche per gli appassionati, che avranno modo di esplorare un mondo che all’estero è già in pieno fermento.

La conferenza sarà disponibile in modalità webinar anche in differita per chi non ha potuto assistervi il 27 ottobre.

La conferenza non è gratis, perché le competenze e lo sforzo organizzativo vanno ripagati, e potete credere che il lavoro dietro le quinte è stato imponente in termini di tempo e di mezzi. Ci sono diverse tipologie di accessi a tariffe diverse, secondo la profondità di apprendimento e l’interesse del pubblico, ed i servizi si potranno consultare per un anno intero.

Un’occasione imperdibile per chi vuole conoscere meglio questo artigianato dinamico e dalle prospettive brillanti, e per chi, soprattutto, coltiva già l’idea di fare, ma non ha ancora acquisito gli strumenti necessari. L’opportunità è qui da cogliere: craftdistilling.it

Noi, da umili bevitori, aspettiamo con pazienza i frutti del vostro sacro fuoco.

© 2020 il farmacista goloso (riproduzione riservata)




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