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20
Gen
12

Vino, il padre del cognac

Una volta vendemmiate le uve impiegate nella distillazione del cognac, che vino ne risulta? Abbiamo già detto che si tratta di un prodotto lontano dagli standard di quello che in Italia considereremmo bevibile: non per cattiva qualità, ma per caratteristiche organolettiche poco piacevoli: si tratta di un vino bianco da uve non del tutto mature, dalla forte acidità, di basso tenore alcolico (8,5°/9,5°) e di poco corpo, tutti caratteri positivi per la buona riuscita della distillazione.

Si comprende subito perché i tentativi di fare brandy nazionale con pregi analoghi al cognac siano fallaci in partenza: da noi mai un vino avrebbe caratteri simili, potrebbe essere forse un bianco a forte acidità, ma avrebbe comunque alcool o corpo in esubero. Questa è una parte del “segreto” del cognac.

I grappoli vengono pressati in modo soffice, in modo da non rompere i vinaccioli e dare olio e tannini sgraditi al mosto; la pressa continua è vietata fin dagli anni ’30 per questo motivo.

Il mosto fermenta per circa 5-7 giorni a temperatura ambiente in grandi tini di vetroresina, per andare incontro subito dopo alla fermentazione malolattica, quanto mai precoce: dopo circa 6/7 settimane dalla vinificazione si può già distillare; c’è comunque chi distilla anche prima di questa seconda  fermentazione.

Vino bianco, dal Tacuinum Sanitatis Casanatensis, Manosc. 4182 (XIV° secolo)

Il tempo è un fattore critico per la riuscita del cognac, più si attende, più il vino perde i suoi caratteri aromatici più volatili. Per questo la distillazione dopo il 31 di marzo dell’anno dopo la vendemmia è penalizzata dalla legislazione.

Il vino appena prodotto grazie alla sua marcata acidità (circa 1 g di zucchero per litro) si mantiene per fortuna bene senza l’aggiunta di solfiti, poiché questi nuocerebbero alla distillazione facendo sviluppare nel mosto molte più aldeidi da parte dei lieviti: una volta distillato, il cognac prenderebbe un sapore alquanto sgradevole per la marcata presenza di prodotti di decomposizione di queste sostanze. Tantomeno è permessa l’aggiunta di zuccheri (chaptalisation), che ne incrementerebbero il grado alcolico: invece lo si vuole mantenere basso.

Intorno ai primi anni ’90 anche nella Charente c’è stata, come in Italia, una presa di coscienza su come fare meglio il vino, grazie anche all’intelligente apporto della consulenza di enologi qualificati ai vignaioli, vuoi da parte delle grandi maison commerciali, vuoi della Stazione Vinicola di Cognac.

Oggi si produce con più cura, aiutati anche dalla tecnologia, e si può porre rimedio anche ad annate estreme, grazie alle fermentazioni in tini a temperatura controllata o, in caso di difficoltà, con l’aggiunta di lieviti indigeni coltivati appositamente. Il vignaiolo deisdera ottnerere nelle diverse annate acidità e buona qualità, senza eccedere in alcool, insomma dell’equilibrio; tutto dipende dal mese precedente la vendemmia, annate calde e asciutte danno vini troppo alcolici, annate fredde rendono i congac piatti e privi di aromi.

Quando uomo e vite alleati hanno concluso il loro lavoro, si passa alla… prova del fuoco dell’alchimista.

© il farmacista goloso 2012 (riproduzione riservata)




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