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03
Giu
18

Un cognac con finishing in quercia Mizunara: possibile?

Il cognac si sta aprendo al mondo del finishing, pratica corrente degli altri distillati invecchiati, in particolare del whisky.

Finishing non significa altro che un passaggio dell’alcolico al termine della maturazione in una botte particolare, in genere attiva per aver contenuto vino o altri distillati; di solito questo processo dura qualche mese o poco più, giusto per il tempo di estrarre le caratteristiche tipiche della botte, e per armonizzarle nel distillato.

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Cognac Park Borderies Mizunara – 43,5° – fonte: sito aziendale

Il cognac si è sempre contraddistinto per la chiusura a queste pratiche considerate non ortodosse, non avendo bisogno, lui, nobile di nascita, di mescolarsi ad aromi estranei per acquisire maggiore finezza.

Ultimamente però dal rigoroso disciplinare della AOC Cognac è scomparsa una paroletta – francese – dopo il termine legno di quercia. Questa in apparenza insignificante modifica ha dato adito alla possibilità di sperimentare l’uso di altri roveri senza perdere la denominazione d’origine; cosa che avverrebbe certamente con legni di altra natura: già lo si è visto a proposito del Blue Swift di Martell o del Renegade Barrel di Ferrand.

Pertanto i vincoli all’impiego di botti non costruite con rovere francese sono ancora stringenti: l’unica modalità ammessa dai regolamenti è che siano di quercia (non importa oggi la provenienza geografica) e che siano nuove, oppure abbiano contenuto già e soltanto cognac.

Si è aperta quindi la possibilità per le Case di sperimentare nuove vie, in particolare per aromatizzare diversamente i cognac dagli invecchiamenti brevi, tenendo l’occhio fisso sul bere miscelato.

Non è da molto che la distilleria Tessendier, proprietaria del marchio Park, e di altri, ha lanciato un cognac con finishing in quercia Mizunara, la venerata Quercus Mongolica; che è legno raro, assai costoso, e che dona ai whisky giapponesi di fascia alta aromi pregevolissimi.  È pratica di tutte le Case di whisky jap utilizzare botti o tini di questa rara quercia a lentissimo accrescimento per ottenere imbottigliamenti eccezionalmente eleganti.

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Un esemplare di Qurcus mongolica – fonte Wikipedia

L’operazione sul distillato francese è stata interessante: Park ha prodotto un cognac single cru Borderies, il più piccolo d’estensione, ed anche quello che produce le acquaviti più armoniche in gioventù, invecchiandolo quattro anni, secondo gli usi tradizionali. Si tratta quindi legalmente di un cognac VSOP. Ma poi negli ultimi sei mesi l’acquavite ha soggiornato in botti di quercia Mizunara nuove.

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Monsieur Tessendier e la sua nuova creazione – fonte http://www.sudouest.com

Il risultato è che questo cognac leggero e floreale ma di piacevole lunghezza assume maggiore morbidezza e un po’ di grassezza, pur se così giovane. Pare sia migliore se bevuto con un solo cubetto di ghiaccio, che ne esalta le note più eteree, mi dice un amico che l’ha degustato. Ma lo si è pensato per la miscelazione.

Trattandosi di un imbottigliamento sperimentale, circa 5-6 botti, non ci saranno tante bottiglie in commercio, ma il caso ha fatto scuola a Cognac. E probabilmente il progetto è destinato a vedere presto imitatori, e penso anche qualche maturazione esclusiva in questo legno, non solo un finissaggio. Insomma, la tradizione comincia a vacillare, e nuove creazioni prendono forma dalle mani dei giovani maîtres de chai. Staremo a vedere.

© 2018 il farmacista goloso (riproduzione riservata)

05
Dic
17

I cognac di Jean Grosperrin al Milano Whisky Festival – una storia affascinante

Quest’anno il Milano Whisky Festival si è timidamente aperto al cognac ed all’armagnac, ospitando una piccola delegazione di Maison produttrici. Gesto coraggioso o temerario, non sappiamo: la risposta del pubblico probabilmente non è stata granché, distratta dai fiumi di malto e dai fumi di torba della rassegna principale.

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Degustazioni ad un banco del Milano Whisky Festival 2017 – per gentile concessione del MWF

Ma… una piccola sorpresa c’era, ed era una chicca: la degustazione che sabato 11 novembre ha visto protagonista la Maison Jean Grosperrin con i suoi Cognac de collection. A cose concluse posso svelare un piccolo segreto: l’ispirazione al patron della grande manifestazione milanese per questa preziosa masterclass è venuta da me, una volta saputi in anteprima gli espositori.

Facciamo un passo indietro però: perché per spiegare a chi era al festival quello che si sono persi bisogna raccontare cos’è questa poco conosciuta Maison, e cosa rappresenta nel mondo del cognac.

Jean Grosperrin è il fondatore dell’azienda, nata all’insegna della Gabare, il barcone fluviale che portava le botti del cognac lungo la Charente verso i porti di Tonnay e della Rochelle, dove queste venivano imbarcate sulle navi pronte a viaggiare per il mondo.

LaGabare_

La sede de La Gabare a Saintes

Il suo mestiere era il courtier en eaux-de-vie, cioè il mediatore di acquaviti: Jean con i suoi servizi faceva infatti incontrare imbottigliatori e produttori di cognac, come in Pianura Padana i suoi omologhi fanno intermediazione di vacche o forme di parmigiano. Agli inizi Grosperrin, originario della Lorena, faceva il distillatore ambulante di acquaviti di frutta per i contadini, con un piccolo alambicco semovente, come si usa ancora in Armagnac, per poi finire a vendere alambicchi nella Charente; nel 1991 l’impresa fallirà, per una delle ricorrenti crisi del mercato del cognac, ed allora l’intraprendente Jean si riciclerà come courtier, conoscendo per lunga esperienza l’abbondanza di botti, custodite nei magazzini dei quasi 5000 viticoltori della regione: un vero tesoro di belle addormentate, in attesa del bacio del risveglio. Negli anni di lavoro come courtier Jean Grosperrin riuscirà a costruire un piccolo stock di cognac scelti tra quelli mediati, da lui conservati per le loro qualità eccezionali.

Dal 1999 la piccolissima azienda familiare incomincia ad imbottigliare con il nome “Jean Grosperrin – cognac de collection” qualche lotto proveniente da queste botti. Il figlio Guilhem si innamora di questo mestiere e pochi anni dopo subentra al padre nell’attività ampliandola: oggi possiede un’enoteca a Saintes, e due chais con uno stock di circa 500.000 bottiglie potenziali fatto di qualche centinaio di pregiati lotti di cognac. Inoltre seleziona e vende una linea di cognac più ordinari col marchio “Le Roch.

Ma cosa differenzia Grosperrin da tutti gli altri commercianti o produttori di cognac? Il fatto che questo mercante è qualcosa di molto simile agli imbottigliatori indipendenti ben noti nel mondo del whisky, ed in pratica uno tra i rarissimi a fare a Cognac quello che in Armagnac è tradizione: imbottigliare l’acquavite senza filtrazioni aggressive, senza maquillage (solo un poco di caramello se richiesto dai Paesi d’importazione), usando con giudizio il blending, e quando ha sottomano uno spirito eccezionale, a gradazione piena di botte: cioè allo stato più puro possibile, mettendo in valore le caratteristiche dell’annata e, cosa molto importante, della provenienza da un singolo cru, o da un solo produttore. Modo di fare che alla generalità delle Maison non interessa, ed anzi che cercano di evitare, perché pochi dei cognac in loro possesso si prestano a questo gioco; quindi ecco svelato il perché dell’estensivo blending fatto a Cognac: per equilibrare prodotti dalle caratteristiche diverse, il mediocre con l’eccellente, così da ottenere una qualità media costante. Intendiamoci: se aveste tra le mani uno Château Petrus, lo mischiereste con un Merlot mediocre per farne un buon vino? Ecco, ci siamo capiti.

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Guilhem Grosperrin al tavolo di lavoro nella sua azienda

La ricerca di questa Maison tende quindi a cognac che hanno caratteristiche fuori dal comune, e per questo si prestano ad essere degustati splendidamente in purezza e verità. Grosperrin quando trova quello che cerca, dopo lunghi corteggiamenti al vignaiolo ovvero ai suoi eredi, ché loro sono gelosi dei loro tesori, se lo porta a casa, e lo invecchia ulteriormente finché lo ritiene opportuno: solo allora lo spirito finirà in damigiana, e poi in bottiglia, con la dichiarazione di età. Il particolare non è secondario: saprete così quanti anni ha trascorso in botte il cognac, perché un distillato del 1917 per esempio, per quanto sia stato prodotto cent’anni fa, potrebbe essere rimasto in botte solo per dieci, e sarebbe comunque un cognac giovane.

Grosperrin quindi è nell’area di Cognac l’omologo di Darroze nel Bas Armagnac, la famiglia che ha fatto conoscere in Francia e poi nel mondo la grandezza dell’armagnac tradizionale, prima sconosciuta fuori dalla provincia. Persone che non solo comprano e vendono acquaviti, ma le mettono in giusta luce con la loro esperienza e le fanno apprezzare per il loro valore agli amatori ed ai curiosi, e ne narrano la storia. Spesso questi cognac sono patrimoni familiari che vengono dispersi: perché a Cognac si usa regalare una botte ai figli o ai nipoti, ai più fortunati ogni anno, e le si “dimentica”. Eredità quindi dello zio o del nonno del distillatore ormai pensionato, di una vedova, o di figli o parenti che non si occupano di distillazione, a volte invece è lo stesso vignaiolo che deve disinvestire il suo “capitale liquido” per l’acquisto di un trattore o per rinnovare l’azienda; ogni lotto racconta quindi un brano di vita dietro l’apparente banalità di una bottiglia.

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Imbottigliamenti della Maison Jean Grosperrin

L’azienda dei Grosperrin è piccola, imbottiglia circa 30.000 pezzi all’anno, tra acquaviti recenti e da amatori, ma ha grande cura dei suoi prodotti, e del buon nome del cognac di suprema qualità. Ogni sua bottiglia è una piccola o grande emozione, di certo mai scontata.

Ma veniamo alla masterclass del Milano Whisky Festival:

tenuta per l’occasione dallo stesso Guilhem Grosperrin, aiutato dal suo importatore italiano (Ghilardi Selezioni), ha offerto una batteria di cognac notevoli, anche per un navigato assaggiatore come me. Purtroppo pochissime persone hanno colto la rara occasione, ma c’era da aspettarselo: il cognac non è ancora trendy, e i nostri amici del whisky non avevano capito che avrebbero degustato insieme ad un Samaroli del cognac. C’est dommage!

Ci sono stati presentati sei cognac, facendo un giro in tre crus della Charente, dal 2001 al 1948.

FINS BOIS 2001 (BIO) –  45,5°

Volutamente non c’è indicazione di età: è un cognac giovane, punto. L’industria lo chiamerebbe probabilmente XO, sigla misteriosa e dichiaratamente opaca. Ha l’irruenza dei giovani, e si sente tutta, come anche le qualità che ti aspetti dal suo terroir. Il segreto, come sempre è dargli tempo: il cognac è musica classica, e dovete ascoltare tutta la sinfonia prima di giudicarlo. La nostra acquavite si sviluppa in profumi fruttati e floreali insieme, man mano sempre più piacevoli mentre l’alcool svapora, lasciando un leggerissimo tocco maderizzato sul finale. È un cognac di buon equilibrio. Il corpo? Cercatelo altrove, un cognac Fins Bois è per definizione tutta leggerezza: qui si apprezza al meglio.

FINS BOIS 1993 – 50°

I Fins Bois sono il primo dei petits crus, il più vasto ed eterogeneo, tanto da potervi trovare distillati del tutto anonimi quanto chicche deliziose. La loro caratteristica migliore è di donarci dei cognac di alquanto profumo e di corpo esile. Questo distillato dei Grosperrin non si è smentito: il naso è adorabile, delicato, un fruttato che vira all’uva passa facendogli passare un po’ di minuti all’aria. Piacevole in bocca senza mostrare finti muscoli che non può avere, ricorda perfino note appena vanigliate di caramella mou. La bevuta è facile, molto didattica, con tanta grazia, diremmo femminile, ed un po’ di (scusabile) ardore alcolico.

GRANDE CHAMPAGNE 1988 – 47°

Il prèmier cru de Cognac ostenta il suo titolo di nobiltà. Ne ha tutte le ragioni, per quanto i suoi figli rimangano paggi fino alla maggiore età, raggiunta non prima dei 25 anni, come un tempo. Il nostro cognac non li ha ancora compiuti (24yo), perciò è sì complesso e già un poco speziato, ma non del tutto maturo per raccontarsi al meglio: lo farà tra una decina d’anni. Corposo lo è, intendiamoci: è pur sempre un cognac aristocratico.

BORDERIES N° 84 – 57° (brut de fût)

Un cognac del cru più piccolo, e misconosciuto se non agli amatori più avvertiti, alquanto raro da trovare in purezza, perché tutta la produzione finisce negli assemblages delle grandi Maison. Ancora più raro è trovarne come brut de fût ovvero a gradazione piena di botte. I cognac delle Borderies sono i più armonici di tutti i loro fratelli, tenendo una gamba nella finezza aromatica dei Fins Bois, e l’altra nel corpo plastico e complesso delle due Champagnes. In questo bicchierino il naso esprime il terroir al massimo: rotondo e bilanciato, con una vivace punta alcolica. In bocca risente del grado pieno, discretamente aggressivo, ma è materico, appagante, con una deliziosa grassezza. Completo come può essere solo un buon cognac Borderies.

BORDERIES N° 64 – 52°

Invecchiato più di quarant’anni in una sola botte lasciata scolma, una caratteristica eccezionalmente rara, che favorisce una grande evaporazione: circa due terzi di questa botte se la sono bevuta gli angeli; il suo aroma è inconfondibilmente territoriale, e promette grandi cose. Capace di finezza ed insieme complessità, questo cognac è gravido di quell’aroma (burroso? fungoso?) che lo rende desiderabile in sommo grado: il rancio. Sarà presente anche al palato? Altroché: è uno spirito oleoso, intensissimo, superbo, eppure l’acquavite conserva una grazia leggiadra e senza fine, mai riscontrabile nei badiali Grande Champagne di grande età, molto più densi e muscolosi di questa meravigliosa filigrana. Un sogno di cognac da mille e una notte, elegantissimo, concluso e perfetto in sé: e non è un blend, per Bacco. Miracoli delle Borderies, l’unico e vero grand cru della Charente !

BORDERIES N° 48 – 46°

Nel cognac più vecchio della serie, vero tesoro di Jean Grosperrin, la data di nascita non è certificata ufficialmente ma suggerita come i precedenti dal numero di lotto. Questa è una delle grandi annate del secolo scorso, ed è estremamente raro trovarla millesimata, figuriamoci dalle Borderies. Il naso inizia franco, vivo e floreale, aprendosi a leggere note ossidative, segno inequivocabile di un cognac più che maturo. In bocca i profumi si spengono in una deliziosa e tenue complessità, che riesce solo ai cognac molto vecchi: è una bellezza fragile, l’avvenenza di una già splendida donna, di cui rimane il fascino senza più l’erotismo. Gran naso e flebile corpo: sarebbe un perfetto cognac da taglio, ma dona altrettanta gioia berlo così.

* * * * *

Come partecipanti alla masterclass abbiamo vissuto un momento privilegiato di degustazione, che ci ha offerto l’esempio di come i cognac, se custoditi ed imbottigliati da mano felice, possano essere grandiosi senza essere mortificati da un blending equivoco con cento altri fratelli. Una volta per tutte, dev’essere chiaro che non esiste il cognac migliore, ma tanti meravigliosi spiriti, irripetibili nella loro individualità. I nostri amici del whisky grazie ai loro bravissimi selezionatori lo sanno da almeno cinquant’anni.

© il farmacista goloso (riproduzione riservata)

12
Mar
12

Cognac – le Borderies

Il terzo cru dell’AOC Cognac è anche il più piccolo in assoluto: si estende sopra la Petite e la Grande Champagne, a nord-ovest di Cognac, avendo come confine sud il fiume Charente; il centro più importante è Burie. Conta solo 10 Comuni, con una superficie di 12.500 ettari, di cui 4000 a vigna; la produzione di cognac è di circa il 5,5% del totale dell’AOC. (nota: la carta dei crus qui riprodotta riporta le località leggermente sfalsate verso ovest: Burie è in realtà nelle Borderies, mentre Cognac è al confine dei 3 crus).

Carta dell’AOC Cognac

Il nome della zona pare derivi dalle “bordes”, fattorie condotte a mezzadria durante il 1600.

Il suo clima comincia a risentire degli influssi oceanici, mentre i suoi terreni sono argillosi e decalcificati, ma solo in superficie. Gli strati profondi possiedono ancora tutte le caratteristiche di pregio dei due primi crus. Anche se è più boscosa delle zone precedenti, tutta l’area adatta alla vite è in produzione.

Il cognac delle Borderies ha la caratteristica di maturare più velocemente dei primi due crus, ha profumi marcatamente floreali (alcuni degustatori insistono sui sentori di  violetta, ma pare sia un mito poetico), senza però le note delle due Champagnes, e soprattutto ha rotondità, è fine, ed invecchia bene. Se da una parte manca della delicatezza dei primi due crus, la compensa con il suo corpo pieno e ricco, dall’inconfondibile gusto di gheriglio di noce, di buona lunghezza; questa caratteristica ne fa lo strumento ideale per irrobustire e dare struttura ai blend della Grande e Petite Champagne che fino a tardi ne sono privi; i suoi distillati sono richiestissimi dalle principali aziende (Martell, Hennessy e Camus tra queste) per dare “scheletro” a tutti gli altri cognac.

In etichetta questo cru è indicato come appellation :

–    (Fine) Borderies contrôlée

Se portati a maturità (esistono favolose e introvabili bottiglie cinquantenarie), i cognac delle Borderies offrono ricchezza, eleganza e aroma in equilibrio ammirevole. È quindi il cru più completo dei 6, in grado di superare per armonia i blend di Fine Champagne. Ricercati dai conoscitori, sono tuttavia imbottigliati molto raramente in purezza, per il loro quasi totale impiego nei blend con altri cognac. Inutile dire che il loro prezzo eguaglia quello dei cognac della Petite Champagne.

Non esistono aree più vocate, poiché è un cru molto omogeneo.

© 2012 il farmacista goloso  (riproduzione riservata)




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