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26
Mar
16

distillati ed additivi – una rassegna

Abbiamo già visto in articoli precedenti che la pratica di conciare i distillati con aggiunte cosmetiche (obscuration) e correttive del sapore (edulcorazione) è una costante universale: quasi tutte le acquaviti sono sottoposte a questi trattamenti di bellezza, di solito tra l’uscita dalla botte e l’imbottigliamento.

Inoltre a qualunque distillato, salvo a quelli detti brut de fût ovvero cask strenght, viene aggiunta acqua per arrivare alla gradazione al consumo.

Il consumatore è di solito ignaro di tutto ciò, nascosto nelle pieghe dei disciplinari di produzione, o geloso segreto dei fabbricanti di spiriti. Ma oggigiorno le sostanze estranee al distillato dovrebbero essere indicate in etichetta, perlomeno in rispetto a chi paga. Sapere cosa stiamo comprando, spesso a carissimo prezzo, è un nostro diritto.

Qui faremo una breve rassegna per categoria, con focus come sempre sui distillati di vino, e qualche confronto con altri spiriti scuri.

Armagnac

Sono permesse le aggiunte di zuccheri, caramello, e trucioli di legno di quercia. Le aggiunte sono consentite fino ad una variazione massima di densità di 4° rispetto al titolo alcolico originario (non molto).

L’uso del maquillage è costante negli armagnac ‘commerciali’ mentre in quelli tradizionali (ovvero millesimati) gli interventi sono minimi, spesso inesistenti. È abitudine infatti imbottigliare gli armagnac millesimati così come escono dalla botte (brut de fût).

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Cognac
Come per l’armagnac, sono permesse le aggiunte di zuccheri e caramello; oltre ad estratti acquosi anche invecchiati di legno di quercia (boisé), ma non trucioli di legno. Le aggiunte sono consentite fino ad una variazione massima di densità di 4° rispetto al titolo alcolico originario.

Lo zucchero è di solito presente intorno a 10 g/l, e rari sono i cognac privi di edulcorazione. Il caramello è di uso generale, e il boisé pure, ma i produttori non ve lo confesseranno mai. Pochi cognac sfuggono al maquillage, che viene adattato alle esigenze del paese di destinazione della partita. I cognac brut de fût sono estremamente rari e pregiati.

Brandy italiano
Le norme permettono l’uso del caramello come colorante, l’aggiunta di zuccheri (fino al 2%), e di “sostanze aromatizzanti” estratte con procedimenti fisici a partire da una materia di origine vegetale allo stato naturale, oppure “preparazioni aromatiche” a partire da materie di origine vegetale allo stato naturale, ottenute da trucioli di quercia o da altre sostanze vegetali, mediante infusione o macerazione con acqua o con acquavite di vino, nella misura massima del 3% del volume idrato.

Il disciplinare permette altresì il taglio con distillato di vino (alcool ricavato dal vino) in misura non superiore al 50% della gradazione finale: significa che l’acquavite uscita dagli alambicchi ed invecchiata può essere diluita, ma solo con alcool da vino.

Di regola dovrebbero essere impiegati come “aromi” estratti di legno di quercia, ma nulla esclude che si tratti di altro, purché di origine vegetale.

Brandy spagnolo (di Jerez)
La caratteristica fondamentale del brandy di Jerez è che sia invecchiato in botti che abbiano già contenuto del vino di Jerez (sherry) per 3 anni. Per cui questa acquavite beneficia già di un’aromatizzazione in partenza.

È permesso il taglio con distillato di vino a meno di 95°, fino ad un max. del 49%, per le qualità più giovani, nessun taglio per le invecchiate.

La legislazione permette l’edulcorazione con zuccheri, o con vino dolce; il caramello è pratica abituale anche qui, e può essere prodotto anche con mosto d’uva.

Le sostanze ammesse come aromatizzanti sono diverse dal brandy italiano, definite dalla consuetudine e non dai regolamenti: hanno lo scopo di dare carattere e tipicità a questa acquavite, secondo gli usi delle varie bodegas produttrici.

Sono permessi estratti idroalcolici ed infusioni di: uva passa, prugne secche, baccelli di vaniglia, pericarpo di mandorle, mallo di noce verde, e trucioli di legno di quercia, nonché l’impiego delle fecce di vino durante la distillazione. Gli aromatizzanti non superano di regola lo 0,3% del volume del brandy.

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Rum – rhum – ron
Confrontando questi distillati con i brandy, le cose si complicano: in teoria secondo il regolamento CE 110/2008 “il rum non è aromatizzato”.

Permesso come sempre il caramello; nulla si dice dell’edulcorazione, anche se ormai sappiamo che in parecchi rum si fa uso generoso di zuccheri in varie forme, compreso il miele,  anche laddove le regole lo vietino (AOC Martinique).

Per quanto riguarda gli aromatizzanti, secondo gli stili e gli usi dei vari tipi di rum, si usa di tutto, probabilmente ancora prima della distillazione; perfino un’abominevole “pasta madre” composta di scarti di distillazione, residui di canna e fecce, il cui scopo è di innalzare il contenuto di acidi esterificabili nella massa da distillare; la pratica tradizionale più conosciuta è l’uso di vino di prugne o macerazioni di prugne secche o uva passa aggiunti al distillato, come in Spagna. Ma è frequente l’uso di spezie, vaniglia, e svariatissimi aromatizzanti naturali, come frutta secca o candita, fino ad oltre l’8% del distillato. Forse perfino (siamo maligni) aromi di sintesi, uno su tutti la vanillina. Il vuoto normativo all’origine permette qualsiasi cosa. Altresì comune è la pratica del cask finishing e l’aggiunta al rum bianco di vino di Porto o sherry o bourbon whiskey prima dell’invecchiamento.

In alcuni casi è stata analiticamente dimostrata l’aggiunta di glicerina: naturalissima, ma del tutto estranea al distillato. Questa impartisce al rum dolcezza, corpo, setosità, e l’impressione di densità come se lo spirito fosse stato concentrato in botte per anni al caldo dei Caraibi. Voi credete all’etichetta, il palato sembra confermarlo, ma vi fanno fessi.

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Whisky (scotch)
Qui le cose sono semplici: a parte il caramello, nulla d’altro è permesso di aggiungervi.

Talvolta prima di distillarlo, al malto viene impartito l’aroma affumicato, essiccandolo con fumo di torba.

Le uniche addizioni possono venire dal cosiddetto cask finishing, cioè l’impiego di botti che hanno contenuto in precedenza vini o spiriti diversi, e che cederanno qualcosa delle sostanze assorbite dal legno.

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Grappa
Per l’italico distillato la “scheda tecnica” ministeriale recita che “non è aromatizzata”, salvo poi disporre “nella preparazione della “Grappa” è consentita l’aggiunta di:

– piante aromatiche o loro parti, nonché frutta o loro parti, che rappresentano i metodi di produzione tradizionali;
– zuccheri, nel limite massimo di 20 grammi per litro, espresso in zucchero invertito;
– caramello, solo per la grappa sottoposta ad invecchiamento almeno dodici mesi;
nella denominazione di vendita della “Grappa” deve essere riportata l’indicazione di piante aromatiche o loro parti, nonché frutta o loro parti, se utilizzate.”

Nella pratica si sta facendo strada come per altri distillati, il cask finishing, ovvero la maturazione della grappa in botti che hanno contenuto altre bevande. Anonimi distillatori hanno confessato, sotto tortura, che nelle botti usate desiderano un residuo di liquido di circa 10-15 litri, oltre a quello che impregna il legno. Questa aggiunta “clandestina” dona carattere marcato e morbidezza alla grappa così trattata. Ma negheranno sempre. Tutto il mondo è paese quindi, da Cognac ai Caraibi, passando per Bassano e Udine.

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Considerazioni finali
Da questa panoramica si vede come le acquaviti meno lavorate – e per inciso, più difficili da degustare – siano i whisky scozzesi e gli armagnac tradizionali millesimati. Cognac ed armagnac non millesimati permettono interventi ben tipizzati dai loro dettagliati disciplinari; tuttavia scendendo verso sud le regole diventano elastiche, con requisiti minimi e generici per il brandy italiano, ed in Spagna perfino col silenzio ufficiale sui “metodi tradizionali” per aggiungere aromi. Varcato l’oceano poi ogni aggiunta è lecita, o quasi.

Non è un giudizio di merito, ma la constatazione che molto del carattere di un distillato viene impresso proprio dalle sostanze edulcoranti ed aromatizzanti aggiunte all’acquavite. Quanto più questa sarà facile, ricca di aromi, di densità al palato, e di “morbidezza” insieme, tanto più sarà stata conciata prima o dopo l’uscita dall’alambicco.

© 2016 il farmacista goloso (riproduzione riservata)

11
Ott
15

Distillati e zucchero aggiunto – parte seconda – brandy

Qualche tempo fa si parlava della ben taciuta pratica di aggiungere generose quantità di zucchero al rum; la cosa non reca pregiudizio al distillato, ma lo fa sembrare più buono e più maturo di quel che è. Di fatto, un’adulterazione.

I distillati lo sono veramente ?

È discutibile se l’usanza generi una vera e propria frode commerciale nei confronti dei bevitori o sia accettabile e perfino gradita. La questione è aperta; oltreoceano mancano regole produttive locali, mentre quelle UE sono (volutamente?) lacunose.

Vediamo invece cosa succede per i nostri amati spiriti di vino.

Cognac ed armagnac sono soggetti ai disciplinari di produzione francesi (AOC), che ne codificano l’elaborazione; vanno quindi rispettati alcuni standard, e le aggiunte di caramello e zucchero sono regolate, entro 4° di densità apparente.*

Per il brandy italiano il disciplinare ammette lo zuccheraggio, sempre come edulcorante, nel limite del 2% (20 g/litro).**

Il disciplinare del brandy di Jerez permette l’edulcorazione con saccarosio, glucosio, o vino dolce naturale, ma tace sulle quantità ammesse, ricordando solo che superata la soglia di 100 g/litro il brandy diventa liquore a base di brandy. Difatti è generalmente più dolce dei suoi confratelli latini. Ne viene anche permessa l’aromatizzazione.***

Il panorama si presenta quindi variegato: da regole certe, (F, I) al vuoto normativo (E).

Il principio che dovrebbe guidare noi consumatori è, a modesto parere di chi scrive, che se l’acquavite nasce da materie prime buone ed è trattata con cura in distillazione ed invecchiamento non ha quasi mai bisogno di arrotondamento oppure di un esaltatore di gusto, dato dagli zuccheri disciolti.

Zucchero nelle sue varie forme – public domain image

L’aggiunta di zuccheri sembra essere tecnicamente lecita se rimane nei confini dell’edulcorazione, ed è sicuramente accettabile per le acquaviti giovani (< 8 anni), alle quali conferisce una migliore palatabilità.

Una soglia compresa tra 5 e 15 grammi/litro di zuccheri è sufficiente agli scopi tecnologici senza alterare significativamente il carattere dell’acquavite. Oltre questi valori, la nostra opinione è che l’edulcorazione snaturi il carattere del distillato.

Superati i 20 grammi/litro, valore massimo per il legislatore italiano, le acquaviti dovrebbero essere considerate adulterate, cioè non più conformi a ciò che esce dall’alambicco. Ma è un’opinione personale.

La realtà è che al consumatore medio questi alcolici sciroppati piacciono, e molto, come si diceva nel caso di scuola dei rum. Ma è altresì vero che l’amatore di distillati riconosce gli elevati zuccheraggi alla degustazione, e ne resta perplesso e non di rado schifato.

I produttori caraibici, invece, quando gli si domandi ragione dei dati delle analisi sui loro spiriti, negano ostinatamente le dolcificazioni, e si appellano all’aumento della densità conferita dalla botte durante l’invecchiamento: peccato che – per quanto sia vero che questa apporta zuccheri tramite l’idrolisi acida dell’emicellulosa del legno – la quantità si mantenga nell’ordine dei milligrammi/litro, con massimi di 0,5 g/l per il cognac e 2.0 g/l per il brandy di Jerez, ma solo dopo 30 e rispettivamente 40 anni di invecchiamento.**** Ben lontano dai valori rilevati nei rum, le cui densità indicano un’aggiunta estranea.

Serie di brandy di Jerez – museo di Jerez de la Frontera – CC license – author El Pantera

Andiamo nel dettaglio. Grazie alle analisi dei monopoli di stato finlandese e norvegese sugli alcolici, oggi possiamo disporre di dati certi ed indipendenti sul contenuto di zucchero di svariatissimi prodotti.

Ci diranno che i dati non sono utilizzabili per la ragione che ogni Casa produttrice aggiusta i suoi distillati al gusto dei mercati di destinazione; ma possiamo ben stimare che il tenore in zucchero usato nei paesi europei sia lo stesso, grammo più o meno. Diverso sarebbe se si parlasse dei mercati estremo – orientali, dove il gusto della clientela è sensibilmente diverso, richiedendo un brandy più dolce e più colorato.

Vediamo quindi per alcuni prodotti, scelti tra i più rappresentativi, il loro contenuto di zuccheri espresso in grammi/litro, grazie alle fonti citate.

Brandy Italiano
• VECCHIA ROMAGNA ET. NERA 8 g/l
• ARZENTE POLI 1 g/l
• BRANDY LUXARDO 4,5 g/l

Brandy Spagnolo
• TORRES 10 (Pénedes) 12 g/l
• TORRES 20 (Pénedes) 10 g/l
• JAIME I   30 (Torres – Pénedes) 15 g/l
• FERNANDO DE CASTILLA Solera Gran Reserva 11 g/l
• CARLOS I SGR (Osborne – Jerez) 40 g/l
• VETERANO 36° Solera (Osborne – Jerez) 11 g/l

Armagnac
• LARRESSINGLE VSOP TÉNARÈZE 7 g/l
• BARON DE CASTELNAU 1963 50 YO 2 g/l
• CHATEAU DE LAUBADE XO 0,4 g/l
• CHATEAU DU TARIQUET VSOP 3 g/l
• DARROZE ASSEMBLAGE 8YO 0,1 g/l
• DARTIGALONGUE XO 5 g/l
• CHATEAU DU TARIQUET FOLLE BLANCHE 8YO 2 g/l

Cognac
• ABK6 VS 10 g/l
• ABK6 VSOP 6 g/l
• BISQUIT VS 6 g/l
• BISQUIT VSOP 9 g/l
• CAMUS VS 10 g/l
• CAMUS VSOP ELEGANCE 8 g/l
• COURVOISIER VS 7 g/l
• COURVOISIER VSOP 7 g/l
• COURVOISIER XO 7 g/l
• DELAMAIN XO PALE & DRY 4 g/l
• DELAMAIN XO VESPER 2 g/l
• DE FUSSIGNY VS SELECTION 12 g/l
• DE FUSSIGNY XO 13 g/l
• DE LUZE VS 11 g/l
• DE LUZE VSOP 12 g/l
• DE LUZE XO 11 g/l
• DUDOGNON XO VIEILLE RESERVE 1 g/l
• DUDOGNON EXTRA HERITAGE 1 g/l
• FRAPIN VS 13 g/l
• FRAPIN VSOP 11 g/l
• FRAPIN XO CHATEAU FONTPINOT 10 g/l
• GAUTIER VS 11 g/l
• HENNESSY VS 9 g/l
• HENNESSY VSOP 10 g/l
• HENNESSY XO 12 g/l
• HINE VSOP RARE 9 g/l
• HINE XO ANTIQUE 8 g/l
• JEAN FILLIOUX NAPOLEON 7 g/l
• JEAN FILLIOUX STAR GOURMET 4 g/l
• MARTELL VS 7 g/l
• MARTELL VSOP MEDAILLON 7 g/l
• MARTELL XO 11 g/l
• MARTELL XO CORDON BLEU 7 g/l
• MARTELL EXTRA CRÉATION 6 g/l
• MEUKOW VS 13 g/l
• MEUKOW VSOP SUPERIOR 14 g/l
• MEUKOW XO 12 g/l
• OTARD VSOP 7 g/l
• PRINCE DE POLIGNAC VSOP 10 g/l
• RAGNAUD SABOURIN N°4 (VS)  8 g/l
• RAGNAUD SABOURIN N°25 XO 8 g/l
• RÉMY MARTIN VSOP 10 g/l
• RÉMY MARTIN XO EXCELLENCE 8 g/l
• TRIJOL VSOP 15 g/l
• VALLEIN TERCINIER NAPOLEON 3 g/l
• VALLEIN TERCINIER XO 3 g/l
• VALLEIN TERCINIER PC 92 1 g/l

A prima vista si può concludere che i brandy meno edulcorati siano gli armagnac, seguiti dagli italiani (ma sappiamo che alcune Case abbondano), i cognac sono mediamente tra i 7-12 g/l, con l’eccezione di alcune piccole Maison artigianali, che quasi non aggiungono nulla (sotto i 5 g/l l’effetto si può ritenere trascurabile), e gli spagnoli oltre i 10 g/l (è esperienza comune però che alcuni loro brandy sono francamente dolciastri). Il panorama dimostra come i brandy nel loro complesso siano più sinceri di altri spiriti in riguardo all’edulcorazione.

© 2015 il farmacista goloso (riproduzione riservata)

NOTE

*   Cahier des charges de l’appellation d’origine contrôlée « Cognac » ou « Eau-de-vie de Cognac »
ou « Eau-de-vie des Charentes » homologué par le décre t n° 2015-10 du 7 janvier 2015

**   Scheda tecnica del “Brandy italiano” – Decreto 5388 del 01 agosto 2011 – in attuazione dell’articolo 17 del regolamento (CE) n. 110/2008 del Parlamento Europeo

***   La legislación recoge una práctica tradicional como es la adición de maceraciones aromáticas de frutas para dar tipicidad y carácter diferenciador a cada producto. El empleo de maceraciones y extractos hidroalcohólicos en brandy está autorizado en España desde el año 1977, y su elaboración se realiza conforme a lo dispuesto en las directivas de la Unión Europea y su transposición a las  disposiciones nacionales. Las maceraciones y extractos utilizados en brandy son elaborados a partir de pericarpios de almendra, ciruelas, uvas pasas, cortezas de nueces verdes, vainas de vainilla y virutas de roble. Los procedimientos descritos para la elaboración de maceraciones y extractos incluyen extracciones sólido-líquido, como la destilación o extracción por disolventes, que se realizan sobre la materia prima en estado natural o transformada  mediante procesos de secado, tostado y fermentación. Según los datos proporcionados por el Consejo Regulador de  la Denominación Específica Brandy de Jerez, el empleo de extractos y maceraciones en la elaboración de brandies comerciales no supera, en general, el 3 ‰. [Tratto da “ESTUDIO DE PARÁMETROS ALTERNATIVOS COMO INDICADORES DEL ENVEJECIMIENTO Y DE LA  CALIDAD DEL BRANDY DE JEREZ” Tesi di laurea di Cristina Martínez Montero, Cadiz, 2006]

****  Se ha descrito un aumento en el contenido de azúcares de hasta 2000 mg/l en brandies envejecidos durante 40 años (indicando valores de xilosa, arabinosa, glucosa y fructosa), mientras que el coñac envejecido en barricas de roble durante 30 años puede llegar a valores de 500 mg/l. [Tratto da “ESTUDIO DE PARÁMETROS ALTERNATIVOS COMO INDICADORES DEL ENVEJECIMIENTO Y DE LA  CALIDAD DEL BRANDY DE JEREZ” Tesi di laurea di Cristina Martínez Montero, Cadiz, 2006]

17
Apr
15

Distillati e zucchero aggiunto – parte prima – rum

Riprendiamo un tema vivacemente dibattuto su altri blog dagli appassionati di spiriti.

Lo zucchero aggiunto ai distillati fa parte degli usi leali e costanti, come direbbero i francesi, della manifattura di quasi tutte le bevande alcoliche.

La polemica è sorta dopo che un appassionato danese, Johhny Drejer, si è messo ad analizzare con criteri di laboratorio chimico alcuni dei più conosciuti rum premium, e ne sono emersi dati inquietanti: in sintesi un iper-zuccheraggio generalizzato, tanto più elevato quanto più il prodotto è invecchiato. I monopoli statali degli alcolici norvegese e finlandese nelle schede dei singoli prodotti  forniscono dati simili, di cui è difficile dubitare la malafede.Qui i dati riassunti in tabella (dal suo sito http://www.drecon.dk)

Se la pratica sia ammissibile nei rum, lo lasciamo valutare agli specialisti dello spirito caraibico: qui riportiamo da un blog inglese un’intervista con un produttore critico.

Approfondiremo in un prossimo articolo i contenuti in zuccheri del cognac e dei brandy, che sono regolati da disciplinari di produzione. Sarà interessante ficcarci il naso.

Bottiglie di rum – varia origine – CC license – author Arnaud 25

Ma quello che è sconcertante sono le reazioni a queste “scoperte” da parte dei produttori di rum, ai quali è stato comunicato il risultato delle analisi sui loro distillati. Sempre, ostinatamente essi negano l’evidenza dello zuccheraggio, e si attaccano ai vetri, pardon, alla botte. Perché?

Semplicemente perché li si è presi “con le mani nel sacco”. Lo zuccheraggio degli spiriti è permesso solo come edulcorante per arrotondare il sapore [norma UE] e finché si mantiene entro limiti ragionevoli. Ma allora come mai questi risultati di analisi? La UE non ha definito tali limiti, ed singoli stati membri non lo fanno se non per i distillati di origine nazionale. Cosicché non c’è una regola vincolante valida per i distillati delle Banana Republics, e ovviamente i produttori fanno come più gli aggrada (e conviene). Anche se secondo le norme Comunitarie [Regolamento CE 110/2008] questi distillati non potrebbero legalmente essere chiamati rum per mancanza dei requisiti di legge.

Tuttavia, quando questo limite (onesto se tra 5 e 15 g/litro, nella maggior parte degli spiriti) viene superato, non ci sono giustificazioni alla pratica, se non di rendere l’acquavite apparentemente più invecchiata e più gradevole di quel che è in realtà. Nel linguaggio della chimica analitica tale aggiunta si chiama adulterazione [alimento scadente offerto come alimento pregiato], e non più edulcorazione [correzione del sapore con zuccheri]. Cioè si tratta della manipolazione della realtà.

Densimetro digitale da laboratorio

Quindi se i rum sono in massima parte adulterati con generosissimi zuccheraggi (spesso oltre i 40 g/litro), il significato è che il prodotto che esce dagli alambicchi caraibici non è potabile, e non lo è nemmeno dopo invecchiamento (se no lo zucchero non verrebbe usato), o almeno così lo percepisce il grande pubblico. Scadente materia prima ? Fretta di vendere ? Voglia di arrivare alla platea più ampia possibile e non solo al bevitore sofisticato ? Chissà.

Di fatto si fa credere al consumatore che il rum ‘X’ sia quello che non è: morbido, piacevole, maturo, dagli aromi brillanti. Invece quasi sempre è un prodotto artefatto, probabilmente molto meno invecchiato di quanto pretenda di essere, colorato generosamente col caramello, talora artificiosamente aromatizzato con i metodi più vari, naturali o di sintesi che siano (pratica altresì vietata per i distillati, ma badate bene, non per i liquori), e in genere stucchevole grazie all’aggiunta massiccia di zuccheri. Questo vogliono i grandi produttori, e così formano il gusto del consumatore medio su prodotti industriali “costruiti” a tavolino, mediocri all’origine e di fatto adulterati. Peraltro piuttosto costosi. La differenza con un armagnac tradizionale è impressionante.

Alcolometro tradizionale (di Gay-Lussac) – CC license – author Sémhur

Un enorme problema di credibilità e di trasparenza per il rum, non c’è dubbio, in cui ci vanno di mezzo i bevitori (ignari) ed i produttori (scrupolosi). Ma anche la chiave del successo di un distillato che ha avuto una fulminante diffusione presso i consumatori giovani di mezzo mondo. Chi non conosce e forse ingenuamente giura sulla famosa bottiglia impagliata dall’etichetta a doppia cifra, o su altre isole del tesoro in bottiglia ? Occhio ai pirati però !

Mi spiace per gli amici appassionati, ma in tutta sincerità, non sono mai stato innamorato dei rum, con rare eccezioni. Ci ho sempre trovato quello che oggi le analisi mettono in luce, distillati poveri di corpo e di anima. Non era solo una mia snobbery o pregiudizio, da quel che leggiamo.

La conclusione ? Meglio ricredersi e puntare su brown spirits meno facili da accostare alle labbra ma più onesti verso il bevitore.

© 2015 il farmacista goloso (riproduzione riservata)




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