Abbiamo già visto in articoli precedenti che la pratica di conciare i distillati con aggiunte cosmetiche (obscuration) e correttive del sapore (edulcorazione) è una costante universale: quasi tutte le acquaviti sono sottoposte a questi trattamenti di bellezza, di solito tra l’uscita dalla botte e l’imbottigliamento.
Inoltre a qualunque distillato, salvo a quelli detti brut de fût ovvero cask strenght, viene aggiunta acqua per arrivare alla gradazione al consumo.
Il consumatore è di solito ignaro di tutto ciò, nascosto nelle pieghe dei disciplinari di produzione, o geloso segreto dei fabbricanti di spiriti. Ma oggigiorno le sostanze estranee al distillato dovrebbero essere indicate in etichetta, perlomeno in rispetto a chi paga. Sapere cosa stiamo comprando, spesso a carissimo prezzo, è un nostro diritto.
Qui faremo una breve rassegna per categoria, con focus come sempre sui distillati di vino, e qualche confronto con altri spiriti scuri.
Armagnac
Sono permesse le aggiunte di zuccheri, caramello, e trucioli di legno di quercia. Le aggiunte sono consentite fino ad una variazione massima di densità di 4° rispetto al titolo alcolico originario (non molto).
L’uso del maquillage è costante negli armagnac ‘commerciali’ mentre in quelli tradizionali (ovvero millesimati) gli interventi sono minimi, spesso inesistenti. È abitudine infatti imbottigliare gli armagnac millesimati così come escono dalla botte (brut de fût).
Cognac
Come per l’armagnac, sono permesse le aggiunte di zuccheri e caramello; oltre ad estratti acquosi anche invecchiati di legno di quercia (boisé), ma non trucioli di legno. Le aggiunte sono consentite fino ad una variazione massima di densità di 4° rispetto al titolo alcolico originario.
Lo zucchero è di solito presente intorno a 10 g/l, e rari sono i cognac privi di edulcorazione. Il caramello è di uso generale, e il boisé pure, ma i produttori non ve lo confesseranno mai. Pochi cognac sfuggono al maquillage, che viene adattato alle esigenze del paese di destinazione della partita. I cognac brut de fût sono estremamente rari e pregiati.
Brandy italiano
Le norme permettono l’uso del caramello come colorante, l’aggiunta di zuccheri (fino al 2%), e di “sostanze aromatizzanti” estratte con procedimenti fisici a partire da una materia di origine vegetale allo stato naturale, oppure “preparazioni aromatiche” a partire da materie di origine vegetale allo stato naturale, ottenute da trucioli di quercia o da altre sostanze vegetali, mediante infusione o macerazione con acqua o con acquavite di vino, nella misura massima del 3% del volume idrato.
Il disciplinare permette altresì il taglio con distillato di vino (alcool ricavato dal vino) in misura non superiore al 50% della gradazione finale: significa che l’acquavite uscita dagli alambicchi ed invecchiata può essere diluita, ma solo con alcool da vino.
Di regola dovrebbero essere impiegati come “aromi” estratti di legno di quercia, ma nulla esclude che si tratti di altro, purché di origine vegetale.
Brandy spagnolo (di Jerez)
La caratteristica fondamentale del brandy di Jerez è che sia invecchiato in botti che abbiano già contenuto del vino di Jerez (sherry) per 3 anni. Per cui questa acquavite beneficia già di un’aromatizzazione in partenza.
È permesso il taglio con distillato di vino a meno di 95°, fino ad un max. del 49%, per le qualità più giovani, nessun taglio per le invecchiate.
La legislazione permette l’edulcorazione con zuccheri, o con vino dolce; il caramello è pratica abituale anche qui, e può essere prodotto anche con mosto d’uva.
Le sostanze ammesse come aromatizzanti sono diverse dal brandy italiano, definite dalla consuetudine e non dai regolamenti: hanno lo scopo di dare carattere e tipicità a questa acquavite, secondo gli usi delle varie bodegas produttrici.
Sono permessi estratti idroalcolici ed infusioni di: uva passa, prugne secche, baccelli di vaniglia, pericarpo di mandorle, mallo di noce verde, e trucioli di legno di quercia, nonché l’impiego delle fecce di vino durante la distillazione. Gli aromatizzanti non superano di regola lo 0,3% del volume del brandy.
Rum – rhum – ron
Confrontando questi distillati con i brandy, le cose si complicano: in teoria secondo il regolamento CE 110/2008 “il rum non è aromatizzato”.
Permesso come sempre il caramello; nulla si dice dell’edulcorazione, anche se ormai sappiamo che in parecchi rum si fa uso generoso di zuccheri in varie forme, compreso il miele, anche laddove le regole lo vietino (AOC Martinique).
Per quanto riguarda gli aromatizzanti, secondo gli stili e gli usi dei vari tipi di rum, si usa di tutto, probabilmente ancora prima della distillazione; perfino un’abominevole “pasta madre” composta di scarti di distillazione, residui di canna e fecce, il cui scopo è di innalzare il contenuto di acidi esterificabili nella massa da distillare; la pratica tradizionale più conosciuta è l’uso di vino di prugne o macerazioni di prugne secche o uva passa aggiunti al distillato, come in Spagna. Ma è frequente l’uso di spezie, vaniglia, e svariatissimi aromatizzanti naturali, come frutta secca o candita, fino ad oltre l’8% del distillato. Forse perfino (siamo maligni) aromi di sintesi, uno su tutti la vanillina. Il vuoto normativo all’origine permette qualsiasi cosa. Altresì comune è la pratica del cask finishing e l’aggiunta al rum bianco di vino di Porto o sherry o bourbon whiskey prima dell’invecchiamento.
In alcuni casi è stata analiticamente dimostrata l’aggiunta di glicerina: naturalissima, ma del tutto estranea al distillato. Questa impartisce al rum dolcezza, corpo, setosità, e l’impressione di densità come se lo spirito fosse stato concentrato in botte per anni al caldo dei Caraibi. Voi credete all’etichetta, il palato sembra confermarlo, ma vi fanno fessi.
Whisky (scotch)
Qui le cose sono semplici: a parte il caramello, nulla d’altro è permesso di aggiungervi.
Talvolta prima di distillarlo, al malto viene impartito l’aroma affumicato, essiccandolo con fumo di torba.
Le uniche addizioni possono venire dal cosiddetto cask finishing, cioè l’impiego di botti che hanno contenuto in precedenza vini o spiriti diversi, e che cederanno qualcosa delle sostanze assorbite dal legno.
Grappa
Per l’italico distillato la “scheda tecnica” ministeriale recita che “non è aromatizzata”, salvo poi disporre “nella preparazione della “Grappa” è consentita l’aggiunta di:
– piante aromatiche o loro parti, nonché frutta o loro parti, che rappresentano i metodi di produzione tradizionali;
– zuccheri, nel limite massimo di 20 grammi per litro, espresso in zucchero invertito;
– caramello, solo per la grappa sottoposta ad invecchiamento almeno dodici mesi;
nella denominazione di vendita della “Grappa” deve essere riportata l’indicazione di piante aromatiche o loro parti, nonché frutta o loro parti, se utilizzate.”
Nella pratica si sta facendo strada come per altri distillati, il cask finishing, ovvero la maturazione della grappa in botti che hanno contenuto altre bevande. Anonimi distillatori hanno confessato, sotto tortura, che nelle botti usate desiderano un residuo di liquido di circa 10-15 litri, oltre a quello che impregna il legno. Questa aggiunta “clandestina” dona carattere marcato e morbidezza alla grappa così trattata. Ma negheranno sempre. Tutto il mondo è paese quindi, da Cognac ai Caraibi, passando per Bassano e Udine.
Considerazioni finali
Da questa panoramica si vede come le acquaviti meno lavorate – e per inciso, più difficili da degustare – siano i whisky scozzesi e gli armagnac tradizionali millesimati. Cognac ed armagnac non millesimati permettono interventi ben tipizzati dai loro dettagliati disciplinari; tuttavia scendendo verso sud le regole diventano elastiche, con requisiti minimi e generici per il brandy italiano, ed in Spagna perfino col silenzio ufficiale sui “metodi tradizionali” per aggiungere aromi. Varcato l’oceano poi ogni aggiunta è lecita, o quasi.
Non è un giudizio di merito, ma la constatazione che molto del carattere di un distillato viene impresso proprio dalle sostanze edulcoranti ed aromatizzanti aggiunte all’acquavite. Quanto più questa sarà facile, ricca di aromi, di densità al palato, e di “morbidezza” insieme, tanto più sarà stata conciata prima o dopo l’uscita dall’alambicco.
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