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05
Dic
17

I cognac di Jean Grosperrin al Milano Whisky Festival – una storia affascinante

Quest’anno il Milano Whisky Festival si è timidamente aperto al cognac ed all’armagnac, ospitando una piccola delegazione di Maison produttrici. Gesto coraggioso o temerario, non sappiamo: la risposta del pubblico probabilmente non è stata granché, distratta dai fiumi di malto e dai fumi di torba della rassegna principale.

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Degustazioni ad un banco del Milano Whisky Festival 2017 – per gentile concessione del MWF

Ma… una piccola sorpresa c’era, ed era una chicca: la degustazione che sabato 11 novembre ha visto protagonista la Maison Jean Grosperrin con i suoi Cognac de collection. A cose concluse posso svelare un piccolo segreto: l’ispirazione al patron della grande manifestazione milanese per questa preziosa masterclass è venuta da me, una volta saputi in anteprima gli espositori.

Facciamo un passo indietro però: perché per spiegare a chi era al festival quello che si sono persi bisogna raccontare cos’è questa poco conosciuta Maison, e cosa rappresenta nel mondo del cognac.

Jean Grosperrin è il fondatore dell’azienda, nata all’insegna della Gabare, il barcone fluviale che portava le botti del cognac lungo la Charente verso i porti di Tonnay e della Rochelle, dove queste venivano imbarcate sulle navi pronte a viaggiare per il mondo.

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La sede de La Gabare a Saintes

Il suo mestiere era il courtier en eaux-de-vie, cioè il mediatore di acquaviti: Jean con i suoi servizi faceva infatti incontrare imbottigliatori e produttori di cognac, come in Pianura Padana i suoi omologhi fanno intermediazione di vacche o forme di parmigiano. Agli inizi Grosperrin, originario della Lorena, faceva il distillatore ambulante di acquaviti di frutta per i contadini, con un piccolo alambicco semovente, come si usa ancora in Armagnac, per poi finire a vendere alambicchi nella Charente; nel 1991 l’impresa fallirà, per una delle ricorrenti crisi del mercato del cognac, ed allora l’intraprendente Jean si riciclerà come courtier, conoscendo per lunga esperienza l’abbondanza di botti, custodite nei magazzini dei quasi 5000 viticoltori della regione: un vero tesoro di belle addormentate, in attesa del bacio del risveglio. Negli anni di lavoro come courtier Jean Grosperrin riuscirà a costruire un piccolo stock di cognac scelti tra quelli mediati, da lui conservati per le loro qualità eccezionali.

Dal 1999 la piccolissima azienda familiare incomincia ad imbottigliare con il nome “Jean Grosperrin – cognac de collection” qualche lotto proveniente da queste botti. Il figlio Guilhem si innamora di questo mestiere e pochi anni dopo subentra al padre nell’attività ampliandola: oggi possiede un’enoteca a Saintes, e due chais con uno stock di circa 500.000 bottiglie potenziali fatto di qualche centinaio di pregiati lotti di cognac. Inoltre seleziona e vende una linea di cognac più ordinari col marchio “Le Roch.

Ma cosa differenzia Grosperrin da tutti gli altri commercianti o produttori di cognac? Il fatto che questo mercante è qualcosa di molto simile agli imbottigliatori indipendenti ben noti nel mondo del whisky, ed in pratica uno tra i rarissimi a fare a Cognac quello che in Armagnac è tradizione: imbottigliare l’acquavite senza filtrazioni aggressive, senza maquillage (solo un poco di caramello se richiesto dai Paesi d’importazione), usando con giudizio il blending, e quando ha sottomano uno spirito eccezionale, a gradazione piena di botte: cioè allo stato più puro possibile, mettendo in valore le caratteristiche dell’annata e, cosa molto importante, della provenienza da un singolo cru, o da un solo produttore. Modo di fare che alla generalità delle Maison non interessa, ed anzi che cercano di evitare, perché pochi dei cognac in loro possesso si prestano a questo gioco; quindi ecco svelato il perché dell’estensivo blending fatto a Cognac: per equilibrare prodotti dalle caratteristiche diverse, il mediocre con l’eccellente, così da ottenere una qualità media costante. Intendiamoci: se aveste tra le mani uno Château Petrus, lo mischiereste con un Merlot mediocre per farne un buon vino? Ecco, ci siamo capiti.

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Guilhem Grosperrin al tavolo di lavoro nella sua azienda

La ricerca di questa Maison tende quindi a cognac che hanno caratteristiche fuori dal comune, e per questo si prestano ad essere degustati splendidamente in purezza e verità. Grosperrin quando trova quello che cerca, dopo lunghi corteggiamenti al vignaiolo ovvero ai suoi eredi, ché loro sono gelosi dei loro tesori, se lo porta a casa, e lo invecchia ulteriormente finché lo ritiene opportuno: solo allora lo spirito finirà in damigiana, e poi in bottiglia, con la dichiarazione di età. Il particolare non è secondario: saprete così quanti anni ha trascorso in botte il cognac, perché un distillato del 1917 per esempio, per quanto sia stato prodotto cent’anni fa, potrebbe essere rimasto in botte solo per dieci, e sarebbe comunque un cognac giovane.

Grosperrin quindi è nell’area di Cognac l’omologo di Darroze nel Bas Armagnac, la famiglia che ha fatto conoscere in Francia e poi nel mondo la grandezza dell’armagnac tradizionale, prima sconosciuta fuori dalla provincia. Persone che non solo comprano e vendono acquaviti, ma le mettono in giusta luce con la loro esperienza e le fanno apprezzare per il loro valore agli amatori ed ai curiosi, e ne narrano la storia. Spesso questi cognac sono patrimoni familiari che vengono dispersi: perché a Cognac si usa regalare una botte ai figli o ai nipoti, ai più fortunati ogni anno, e le si “dimentica”. Eredità quindi dello zio o del nonno del distillatore ormai pensionato, di una vedova, o di figli o parenti che non si occupano di distillazione, a volte invece è lo stesso vignaiolo che deve disinvestire il suo “capitale liquido” per l’acquisto di un trattore o per rinnovare l’azienda; ogni lotto racconta quindi un brano di vita dietro l’apparente banalità di una bottiglia.

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Imbottigliamenti della Maison Jean Grosperrin

L’azienda dei Grosperrin è piccola, imbottiglia circa 30.000 pezzi all’anno, tra acquaviti recenti e da amatori, ma ha grande cura dei suoi prodotti, e del buon nome del cognac di suprema qualità. Ogni sua bottiglia è una piccola o grande emozione, di certo mai scontata.

Ma veniamo alla masterclass del Milano Whisky Festival:

tenuta per l’occasione dallo stesso Guilhem Grosperrin, aiutato dal suo importatore italiano (Ghilardi Selezioni), ha offerto una batteria di cognac notevoli, anche per un navigato assaggiatore come me. Purtroppo pochissime persone hanno colto la rara occasione, ma c’era da aspettarselo: il cognac non è ancora trendy, e i nostri amici del whisky non avevano capito che avrebbero degustato insieme ad un Samaroli del cognac. C’est dommage!

Ci sono stati presentati sei cognac, facendo un giro in tre crus della Charente, dal 2001 al 1948.

FINS BOIS 2001 (BIO) –  45,5°

Volutamente non c’è indicazione di età: è un cognac giovane, punto. L’industria lo chiamerebbe probabilmente XO, sigla misteriosa e dichiaratamente opaca. Ha l’irruenza dei giovani, e si sente tutta, come anche le qualità che ti aspetti dal suo terroir. Il segreto, come sempre è dargli tempo: il cognac è musica classica, e dovete ascoltare tutta la sinfonia prima di giudicarlo. La nostra acquavite si sviluppa in profumi fruttati e floreali insieme, man mano sempre più piacevoli mentre l’alcool svapora, lasciando un leggerissimo tocco maderizzato sul finale. È un cognac di buon equilibrio. Il corpo? Cercatelo altrove, un cognac Fins Bois è per definizione tutta leggerezza: qui si apprezza al meglio.

FINS BOIS 1993 – 50°

I Fins Bois sono il primo dei petits crus, il più vasto ed eterogeneo, tanto da potervi trovare distillati del tutto anonimi quanto chicche deliziose. La loro caratteristica migliore è di donarci dei cognac di alquanto profumo e di corpo esile. Questo distillato dei Grosperrin non si è smentito: il naso è adorabile, delicato, un fruttato che vira all’uva passa facendogli passare un po’ di minuti all’aria. Piacevole in bocca senza mostrare finti muscoli che non può avere, ricorda perfino note appena vanigliate di caramella mou. La bevuta è facile, molto didattica, con tanta grazia, diremmo femminile, ed un po’ di (scusabile) ardore alcolico.

GRANDE CHAMPAGNE 1988 – 47°

Il prèmier cru de Cognac ostenta il suo titolo di nobiltà. Ne ha tutte le ragioni, per quanto i suoi figli rimangano paggi fino alla maggiore età, raggiunta non prima dei 25 anni, come un tempo. Il nostro cognac non li ha ancora compiuti (24yo), perciò è sì complesso e già un poco speziato, ma non del tutto maturo per raccontarsi al meglio: lo farà tra una decina d’anni. Corposo lo è, intendiamoci: è pur sempre un cognac aristocratico.

BORDERIES N° 84 – 57° (brut de fût)

Un cognac del cru più piccolo, e misconosciuto se non agli amatori più avvertiti, alquanto raro da trovare in purezza, perché tutta la produzione finisce negli assemblages delle grandi Maison. Ancora più raro è trovarne come brut de fût ovvero a gradazione piena di botte. I cognac delle Borderies sono i più armonici di tutti i loro fratelli, tenendo una gamba nella finezza aromatica dei Fins Bois, e l’altra nel corpo plastico e complesso delle due Champagnes. In questo bicchierino il naso esprime il terroir al massimo: rotondo e bilanciato, con una vivace punta alcolica. In bocca risente del grado pieno, discretamente aggressivo, ma è materico, appagante, con una deliziosa grassezza. Completo come può essere solo un buon cognac Borderies.

BORDERIES N° 64 – 52°

Invecchiato più di quarant’anni in una sola botte lasciata scolma, una caratteristica eccezionalmente rara, che favorisce una grande evaporazione: circa due terzi di questa botte se la sono bevuta gli angeli; il suo aroma è inconfondibilmente territoriale, e promette grandi cose. Capace di finezza ed insieme complessità, questo cognac è gravido di quell’aroma (burroso? fungoso?) che lo rende desiderabile in sommo grado: il rancio. Sarà presente anche al palato? Altroché: è uno spirito oleoso, intensissimo, superbo, eppure l’acquavite conserva una grazia leggiadra e senza fine, mai riscontrabile nei badiali Grande Champagne di grande età, molto più densi e muscolosi di questa meravigliosa filigrana. Un sogno di cognac da mille e una notte, elegantissimo, concluso e perfetto in sé: e non è un blend, per Bacco. Miracoli delle Borderies, l’unico e vero grand cru della Charente !

BORDERIES N° 48 – 46°

Nel cognac più vecchio della serie, vero tesoro di Jean Grosperrin, la data di nascita non è certificata ufficialmente ma suggerita come i precedenti dal numero di lotto. Questa è una delle grandi annate del secolo scorso, ed è estremamente raro trovarla millesimata, figuriamoci dalle Borderies. Il naso inizia franco, vivo e floreale, aprendosi a leggere note ossidative, segno inequivocabile di un cognac più che maturo. In bocca i profumi si spengono in una deliziosa e tenue complessità, che riesce solo ai cognac molto vecchi: è una bellezza fragile, l’avvenenza di una già splendida donna, di cui rimane il fascino senza più l’erotismo. Gran naso e flebile corpo: sarebbe un perfetto cognac da taglio, ma dona altrettanta gioia berlo così.

* * * * *

Come partecipanti alla masterclass abbiamo vissuto un momento privilegiato di degustazione, che ci ha offerto l’esempio di come i cognac, se custoditi ed imbottigliati da mano felice, possano essere grandiosi senza essere mortificati da un blending equivoco con cento altri fratelli. Una volta per tutte, dev’essere chiaro che non esiste il cognac migliore, ma tanti meravigliosi spiriti, irripetibili nella loro individualità. I nostri amici del whisky grazie ai loro bravissimi selezionatori lo sanno da almeno cinquant’anni.

© il farmacista goloso (riproduzione riservata)

31
Ott
17

Tre buoni motivi per venire al Milano Whisky Festival 2017

Fra pochi giorni si svolgerà l’annuale Milano Whisky Festival (11-12 novembre, dodicesima edizione) nell’abituale sede dell’Hotel Marriott.

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Perché partecipare? Quest’anno i motivi di interesse sono maggiori del solito. Intanto una sala più grande, per cui sarà agevole spostarsi tra i banchi degli espositori; sapete, la rassegna è piuttosto frequentata.

Ma le ragioni sono ben tre.

  • La prima è che l’esposizione collaterale (Fine Spirits), per anni dedicata al rum, quest’anno ospiterà una rassegna di brandy: ecco la grande novità. Ancora troppo pochi, e soprattutto di commercianti medio‑grandi, più che vignaioli, per il cognac; un grande négociant e due interessanti produttori, per l’armagnac; mentre per il brandy spagnolo sarà presente un marchio globale. Peccato non aver pensato ad un brandy italiano, ce ne sono di eccellenti, benché piccoli.

  Qui sotto il loro elenco alfabetico (con il distributore italiano):

Cognac Abk6 (Balan); Armagnac Château de Bordeneuve (Compagnia dei Caraibi); Cognac Camus (Onesti Group); Brandy Cardenal Mendoza (F.lli Rinaldi); Cognac Ferrand (Compagnia dei Caraibi); Cognac Jean Grosperrin (Ghilardi Selezioni); Cognac Hine (F.lli Rinaldi); Armagnac Janneau (F.lli Rinaldi); Armagnac Domaine de Laguille (Balan).

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La ruota degli aromi del cognac – fonte: http://www.pediacognac.com

  • La seconda: durante la rassegna verrà presentato il libro di Simon Paul Murat e Davide Terziotti, con la luminosa fotografia di Fabio Petroni. «My Name Is Whisky», un lavoro importante per dimensioni e pagine, che descrive il whisky in 650 bottiglie e 27 profili di ‘chi ci mette lo spirito’ per fabbricarlo. Storie, ritratti, e poesia che impreziosiscono la favola della vostra amata bottiglia. Nelle loro pagine ci faranno credere che il whisky sia il Re degli Spiriti; ma voi fatene la tara. L’hanno raccontata grossa, perché l’acquavite di cereali a loro piace tanto. Però merita almeno di essere sfogliato, si impara sempre qualcosa di nuovo.

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    Il nuovo libro che verrà presentato al MWF 2017

 

  • La terza, ovviamente, i più di duemila whisky che vi aspettano per essere degustati al bicchiere nell’intensa due giorni milanese; ma questo è un dettaglio di nessuna importanza per voi che amate i brandy.

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Naturalmente parteciperò anch’io, e se mi vedrete nell’area whisky non dovrete preoccuparvi, starò salutando gli amici, oppure assaggiando qualcosa per parlarne il peggio possibile (sono perfido: riconosco che ci siano distillati eccellenti, solo che davanti ad un buon brandy fanno di solito una magra figura). È la verità, ma i whisky lovers non lo ammetteranno se non sotto tortura (qualcuno di cui tacerò il nome, pena il licenziamento in tronco, ha già confessato spontaneamente).

L’occasione di degustare così tanti brandy (e malti) tutti insieme a Milano è irripetibile, e forse non capiterà più.

Venite, e… santé (oppure slainte)!




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