Posts Tagged ‘commercio cognac

15
Set
17

Cognac is the new rum? – Numeri e riflessioni su un trend in salita

Anche il 2016 è stato un anno fortunato per il cognac: le vendite sono in costante aumento, +10,2% in volume e +15,2% in valore.

La passione per questo distillato, che quando è prodotto con amorevoli cure è veramente il re di ogni spirito, per quanto gli amatori di whisky sostengano il contrario, sta crescendo un po’ dappertutto. Ma la parte del leone la fa sempre il mercato statunitense, che assorbe il grosso del cognac più giovane e meno interessante, per miscelarlo.

Centonovanta milioni di bottiglie conta il venduto, con un’esportazione del 98%, per un fatturato di tre miliardi di euro. Una gran bell’industria, se pensiamo che fatto 100 l’export vinicolo italiano 2016, quello del cognac vale circa 54 da solo (!). E c’è tutto il resto della Francia poi.

La crisi è terminata anche sul mercato cinese, che ricomincia a tirare, ma nitidi segnali di ripresa si vedono anche in Europa, con un notevole +22,2% per la Germania, e un +73,3% per la Russia. Qualche vivace spunto si segnala anche in Sud Africa e nei Caraibi francesi, mercati finora poco toccati dal brandy francese.

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Un cognac artigianale – Chateau de Beaulon VSOP

A casa nostra poco si muove per ora: qualcosa però dice che il vento sta cambiando, e forse sta per incominciare un nuovo interesse per questo distillato così snobbato finora dal consumatore nostrano. Gli importatori più attenti stanno introducendo nei loro cataloghi qualche nuova Maison artigianale, ed anche qualche Maison di cognac innovativi. Anche se è certo che queste piccole importazioni non siano ancora in grado di generare un fatturato interessante per la filiera, la cosa significativa invece è l’inizio di un’offerta più ampia per il curioso che volesse sperimentare quanto predico da anni: cioè che il cognac è il distillato migliore che possiate bere. Ma finora era difficile metterlo in pratica.

Diciamolo di nuovo, a scanso di equivoci: non tutto il cognac è eccellente. Bisogna andarsi a cercare questi vignaioli-distillatori e le loro piccole produzioni da poche decine di migliaia di bottiglie/anno, non la grande azienda mondiale. Qui si annidano le gemme, ed il cognac assume la sua dimensione migliore. Quello che viene prodotto dalle stesse Maison per essere poi invecchiato e commercializzato dai notissimi marchi multinazionali nasce all’origine diverso, più standardizzato, e – si può dire? –  senza affetto. Ne ho già parlato su un altro blog.

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Un cognac artigianale vintage – Bache Gabrielsen Pure & Rustic

C’è quindi una gerarchia sottile ed ignorata dai più, all’interno dello spirito francese, che si svela solo visitando le aziende ed assaggiando i loro prodotti. E quando la grande e celeberrima Casa vuole fare un cognac d’eccezione, per intenderci quelli che trovate in vendita in lussuose caraffe che costano un rene, userà sì le proprie riserve, ma come basi. Quello che dà carattere, le bonificateur, come dicono là, l’azienda lo andrà quasi sempre a comprare, una botte o due, dai piccoli vignaioli che avranno messo da parte ed invecchiato una partita di pregio come se fosse un personale fondo d’investimento, o da grossisti specializzati in quest’arte paziente, chiamatela cherry picking se volete. Non diversamente da quello che facevano in Scozia i nostri selezionatori di single malt whisky 50 anni fa. E sappiamo com’è andata.

I cellar master delle grandi Case fanno questo, quando creano un prodotto di lusso: assemblano un prodotto invecchiato a lungo ma con un carattere relativamente neutro, o non certo straordinario, a dei cognac eccezionali che donano il quid che a loro manca, e nasce così la favolosa “riserva dell’imperatore”, oppure qualche altra etichetta destinata ad épater le bourgeois.  Vi ho svelato un segreto del mestiere.

Ne discende che se volete un cognac da urlo, dovrete andarvelo a cercare dai piccoli, pagandolo in genere ad un prezzo molto onesto. Loro ce l’hanno, e non sarà tagliato con acquaviti inferiori: miscelereste uno Château Petrus con un Merlot qualsiasi del Veneto? Ecco.

Quello che mi aspetto dai professionisti italiani della distribuzione è proprio questo: rilanciare il grande distillato francese grazie al buon gusto italiano, e diffonderne la magia nel mondo. L’Europa del Nord è già pronta ad accogliere prodotti del genere, ed anche la Cina. I grandi numeri servono, certo, ma è l’eccellenza che traina il mercato, e rende giustizia al suo valore. A Bordeaux lo sanno da secoli, a Cognac non l’hanno ancora capito, e pensano solo ai volumi: lumaconi, vengono soprannominati in zona.

© 2017 il farmacista goloso (riproduzione riservata)

24
Feb
15

cognac – marketing – le cifre del 2014

Il Bureau National Interprofessionel du Cognac, l’ente statale francese che tutela, controlla e promuove il cognac, ha appena pubblicato il rapporto sulle vendite nel 2014: ecco i dati più significativi dell’anno: le sorprese non mancano, così come qualche trend consolidato.

Si sono vendute nel mondo circa 155,6 milioni di bottiglie equivalenti, con un brusco calo sul già calante 2013, ben 5,8 milioni meno dell’anno precedente (-3,6% in volume). Il trend si conferma quindi in frenata. Il mercato soffre pesantemente in Asia per gli stock in eccesso e le politiche moralizzatrici cinesi anticorruzione e antiprostituzione, si afferma in crescita negli USA, e in forte arretramento in Europa.

L’export ammonta al 97,5%, ed a un magro 2,5% di consumo domestico, sebbene la domanda francese sia cresciuta dello 0,1%.

I principali Paesi consumatori vedono gli Stati Uniti in testa con 57,5 milioni di bottiglie, segno che la crisi è finita, seguiti da Singapore (↓) con 23 milioni, dalla Cina con 14,8 milioni in calo di 5,1 milioni sull’anno 2013 (un impressionante -25,9%), e dall’Inghilterra con 9,7 milioni, in calo del 4,1%.

La Cina ha invertito il segno dell’import, bruciando in due anni circa 10 milioni di bottiglie: i grandi operatori ne stanno soffrendo pesantemente, specie quelle Case che hanno puntato le carte sul mercato giallo, Rémy Martin per prima. Martell (Pernod-Ricard) ha annunciato nel terzo trimestre 2014 licenziamenti per 900 unità, di cui 150 in Francia.

L’Europa, terzo mercato, vede  ancora Inghilterra Germania e Francia come principali acquirenti, seguiti da Olanda, Norvegia, Finlandia, con circa un quarto delle vendite totali, ma Germania ed Olanda hanno subìto pesanti cali dell’ordine del 8,4% e rispettivamente 20,1% ! L’Italia si conferma ancora tra le cenerentole, con mercato asfittico.

Riguardo alle qualità vendute, il 50,8% è costituito dal tipo VS (invecchiamento min. 2 anni e ½), il 49,2% dal tipo VSOP (4 anni) e qualità superiori (XO 6 anni, e oltre), invertendo la richiesta dei cognac più invecchiati, caratteristica dei mercati orientali.

L’interesse per questo distillato rimane comunque alto in tutto il mondo: costante è il rapporto dell’export per un totale del 97,5% della produzione complessiva.

La domanda di cognac è in netto calo globale, appesantita dai mercati asiatici, mentre la crisi rende astemia l’Europa, pur con l’infinitesima crescita in Francia. Galoppa solo il mercato nord americano, dove il cognac è lifestyle.

Fonte: bnic.fr

02
Mar
13

Produzione e commercio del cognac

La struttura della filiera della produzione e del commercio del cognac è poco conosciuta e peculiare della regione della Charente: approfondiamone la conoscenza.

Chi produce l’uva non sempre è lo stesso che la vinifica, né colui che distilla ed invecchia l’acquavite: gli attori in gioco sono numerosi, e coinvolgono una parte importante dell’economia locale.

  • I vignaioli (vignerons): sono circa 5.000 nella regione dell’AOC Cognac e producono la quasi totalità del vino bianco che verrà avviato alla distillazione, spesso da altri soggetti. Se il viticoltore è anche distillatore in proprio, assume il nome di boilleur de cru (q.v.). Essi possono anche commercializzare in proprio il cognac prodotto ed invecchiato. I viticoltori possono conferire le uve od i vini ai seguenti soggetti:
  • Il boilleur de cru: è il proprietario di vigneto che distilla (o fa distillare) il suo vino, e lo avvia all’invecchiamento nei propri locali: sono circa 4.000 soggetti. Non necessariamente è il commerciante finale del proprio cognac: più spesso lo vende, giovane o vecchio, ad intermediari, o direttamente alle principali maison, alle quali può essere legato da contratti pluriennali di fornitura. I produttori commercianti finali sono poco più di 420 soggetti, che trattano da poche migliaia fino a qualche centinaio di migliaia di bottiglie/anno, a volte solo fusti. La quota del distillato finito venduto da questa categoria rappresenta meno dell’1% del fatturato globale dell’economia del cognac.

    Un tipico alambicco di boilleur de cru di Cherves de Cognac (Charente)

    Un tipico alambicco di boilleur de cru di Cherves de Cognac (Charente)

  • Il boilleur de profession: è il proprietario di una distilleria organizzata in forma aziendale che distilla vini di altri soggetti. È il principale soggetto trasformatore del vino in cognac. Egli compra il vino dai produttori e lo trasforma in acquavite, sia per conto proprio (grossista) che per rivenderla a soggetti terzi, oppure per conto dei viticoltori a cui ritorna il vino distillato per l’invecchiamento. Alcune decine di boilleurs sono proprietà diretta delle grandi maison di commercio. Sono circa 110 aziende.
  • La cooperativa di distillazione: sono solo 4, ma riuniscono numerosi piccoli produttori i quali conferiscono il loro raccolto per la vinificazione e la distillazione. Possono restituire il cognac distillato al singolo conferente.

Questa è la struttura della trasformazione del vino in acquavite: una volta prodotta, abbiamo visto come essa verrà stoccata negli chais, per subire l’invecchiamento che la trasformerà in cognac vero e proprio.

*   °   *   °   *

Vediamo adesso i soggetti che trasformano il distillato nella forma a noi consueta, cioè la bottiglia pronta al commercio; sono essenzialmente: il boilleur de cru, già visto prima; il negoziante-speditore, il commerciante all’ingrosso, e la cooperativa.

  • Il boilleur de cru: se appartiene a quei 420 prima ricordati, è anche venditore finale del proprio raccolto: spesso si trova nei crus migliori, ma è presente in tutta la regione. Tra i boilleurs de cru si trovano i migliori ed i più celebrati produttori indipendenti di cognac. Molto di frequente si tratta di un’attività parziale, in quanto il grosso dei produttori vende una parte del suo cognac, giovane o vecchio che sia, ai negozianti, e ne riserva una quota per la propria marca. Si tratta di un’attività difficile, perché la vendita richiede un’organizzazione commerciale all’estero, e raramente le piccole case, su base familiare, dispongono di strutture o di personale adatti. Ecco quindi la necessità di sostenere il proprio reddito con la cessione di parte del prodotto alle grandi aziende che sanno fare questo lavoro egregiamente.
  • Il commerciante all’ingrosso: è di solito un intermediario che dispone di depositi in cui fa invecchiare il cognac e degli ingenti capitali che l’investimento a lungo termine richiede. Talvolta si confonde con il distillatore di professione; i suoi clienti sono le grandi maison, alle quali offre i cognac invecchiati che queste potrebbero richiedere per esigenze non coperte dagli stock aziendali. Sono circa 90, e non producono per il consumatore finale.

    L’ingresso della maison Hennessy, il negociant che ha i lruolo di ‘big player’ del cognac

  • Il negoziante-speditore: è la figura più importante del commercio del cognac: in origine, nei primi anni del 1700, questi negociants, spesso di origine inglese, olandese, o irlandese, non erano altro che commercianti all’ingrosso di fusti; col tempo le più grandi maison si sono dotate di tutta la struttura ‘industriale’ che oggi conosciamo: dallo stoccaggio in grande all’invecchiamento lungo, dall’imbottigliamento con marchio proprio al presidio del mercato mondiale, sviluppando in azienda importanti figure come il maître de chai, e gli addetti al marketing globale. Nonostante la grande dimensione, alcune aziende rimangono saldamente sotto il controllo della famiglia fondatrice; il loro volume di vendite è compreso da qualche centinaio di migliaia fino alle decine di milioni di bottiglie delle grandi case, e costituisce oltre il 99% della vendita del cognac prodotto: l’offerta è la più ampia in quantità e qualità. Le case commerciali in attività sono circa 270, di cui le prime 10 assorbono il grosso della produzione di cognac e la esportano in ogni angolo del mondo. Le grandi case, con la loro incessante e capillare attività di marketing, promuovono l’immagine e la vendita di tutti gli altri operatori della regione del cognac, oltre che la propria. Lo si può vedere bene confrontando questa notorietà con l’armagnac, che pur essendo di livello qualitativo non inferiore, non beneficia di questo ‘turbo’ a livello mondiale.
  • La cooperativa: sono solo quattro, e distillano, invecchiano e imbottigliano il cognac dei propri associati: il consumatore raramente se ne rende conto, poiché il cognac viene venduto sotto marchi di fantasia, con qualità variabili dal mediocre al molto buono; sostanzialmente sono affini alle maison dei negozianti nell’organizzazione aziendale, salvo la proprietà dell’impresa.

Accanto a questi operatori principali, esiste tutto l’indotto, che partecipa al business del cognac: tra i principali, i bottai, a cui spetta il primo posto per importanza, l’industria del vetro e delle etichette/cartoni; inoltre ci sono attività collaterali, come i fabbricanti di alambicchi, di tappi e capsule, gli spedizionieri, ed i mediatori in acquaviti (courtiers).

Come si vede, il cognac genera un mondo economico organizzato e complesso, che muove un fiume impressionante di denaro, se si pensa che la produzione vale circa 2350 milioni di euro/anno (dati 2012).

© 2013 il farmacista goloso (riproduzione riservata)




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