Archive for the 'cognac' Category

06
Feb
22

Il cognac sconfigge la pandemia – analisi dell’anno d’oro 2021

Il cognac non si è fatto sconfiggere dalla pandemia: le vendite del 2021 hanno registrato una stagione eccezionalmente felice, segno che si continua ad apprezzarlo in giro per il mondo, nonostante le restrizioni alla socialità. Che il cognac sia anche un antidoto al virus, come dicevano cent’anni fa?

Il bicchiere ideale per il cognac – da SudOuest.fr – foto di Aurelien Terrade

Rispetto al 2020 il rialzo delle vendite in valore è stato del 30,9%, e in volume del 16,2%, con un mercato di bottiglie equivalenti pari a 223,2 milioni, realizzando un fatturato al momento dell’export dalla Francia di 3,63 miliardi di euro. I profitti delle aziende tramite le filiali estere sono ovviamente maggiori quando applicano i ricarichi al prodotto.

Infografica delle vendite di cognac 2021 – fonte BNIC

La pandemia a Cognac è stata quindi debellata, considerando il rialzo del fatturato dell’1,6% sul 2019, l’ultimo anno pre-covid. La spinta come sempre è venuta dai mercati americano e cinese, che assorbono da soli circa il 70% della produzione totale di cognac di ogni anno. Il mercato cinese in particolare è cresciuto di uno stupefacente +55,8%, segno che le restrizioni al consumo di beni di lusso imposte dal governo, sia pure in chiave anticorruzione, non hanno fatto gran presa in una società sempre più ricca e disposta a spendere fortune in prodotti a forte contenuto di status symbol, atteggiamento che esplode in particolare durante il Capodanno cinese, in corso in questi giorni nel 2022.

Dall’organizzazione di filiera – il BNIC – si stima che sarà necessario incrementare le superfici vitate di circa 3000 ettari – il 4% – ogni anno, per far fronte alla domanda sempre crescente di cognac, oggi sostenuta dai generosi stock accumulati negli anni passati: ma ovviamente incapaci di reggere una domanda così robusta. Per l’anno corrente verranno messi a dimora 3129 ha di nuove vigne, sugli 80561 ettari già in produzione.

I problemi maggiori ovviamente vengono dalle corazzate del settore, che nonostante possiedano degli imponenti depositi, gigantesche cattedrali alcoliche, non riescono più a fronteggiare la domanda. La sola maison Hennessy ha venduto l’anno scorso 102,6 milioni di bottiglie, dichiarandosi incapace in futuro di servire tutto il mondo: per cui sarà costretta ad inaugurare un sistema di assegnazioni simile a quello delle maison del vicino Bordolese. La concorrente Rémy Martin ha annunciato anch’essa un rialzo delle vendite sul 2020 del 40%.

La tendenza attuale si sta orientando verso il consumo domestico a spese della miscelazione nei locali pubblici, che pure resta il perno intorno a cui gira la comunicazione delle grandi aziende, e verso l’innalzamento di gamma della domanda. Quindi non più soltanto acquisti di cognac giovani e giovanissimi, ma di qualità più mature ed espressive; complice la facile reperibilità dei prodotti, favorita anche dalla vendite online, un canale in crescita esplosiva, che è ormai praticata dalla maggior parte delle aziende produttrici, con l’esclusione dei marchi più organizzati, la cui distribuzione è strutturata da decenni e diffusa in ben 150 Paesi.

L’eau-de-vie di Cognac neonata – fonte SudOuest.fr

Il rialzo della qualità dell’offerta è anche dovuto all’allungamento dei tempi minimi di invecchiamento per i cognac di fascia XO, ed alla recente introduzione della fascia XXO (extra-extra old), come ulteriore categoria legale, per dare alle maison un’arma commerciale in più. Lo si vede nel forte incremento a valore del venduto, assieme alla generale tendenza al rialzo dei prezzi di ogni categoria di invecchiamento, prima assai cauto.

Si annunciano tempi di grandi sorrisi nelle due Charentes.

© 2022 il farmacista goloso (riproduzione riservata)

09
Apr
21

Il gelo di questi giorni ha reso più difficile la vendemmia 2021, ma a Cognac le provano tutte per difendersi

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Una torre antigelo installata nella Charente – a sinistra il bruciatore a gas

Le gelate tardive di questi giorni, dopo un assaggio di temperature abituali per giugno, che hanno fatto germogliare in anticipo a fine marzo le viti in tutta Europa, stanno compromettendo la futura vendemmia anche in Francia. Segnalazioni preoccupanti si sentono raccontare dalla Champagne fino alla Guascogna. Le viti dedicate ai grandi distillati francesi, sia in Armagnac che nelle due Charentes hanno sofferto discretamente del gelo, con estesi danni ai germogli.

A soffrire di più stavolta non sono state le vigne di valle, ma quelle in cima alle colline, a causa dell’intenso vento artico.

Dai corrispondenti a Cognac arrivano notizie di danni da discreti a notevoli, in considerazione delle temperature, scese nelle ultime due notti fino a -5°C. I raccolti vengono previsti inferiori di almeno un quarto all’ordinario, e aprile, il mese delle gelate tardive, è appena incominciato: la settimana entrante sono attese purtroppo altre gelate: si teme il ripetersi dell’annus horribilis 2017, quando si perse fino al 90% del raccolto.

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E benché i vignaioli di Cognac siano soprannominati cagouillards (all’incirca lumaconi), non sono restati con le mani in mano a guardare i germogli perire.

Negli anni sono state installate 79 torri antigelo, delle specie di pale eoliche alte 11 metri affiancate da un bruciatore a gas, che muovendo l’aria la riscaldano, ed impediscono le saccature di freddo nella zona trattata. Ogni pala difende circa 5 ettari di vigneto, e sembra essere piuttosto efficace. Unico effetto collaterale, il rumore poco accettabile di notte. Esistono altre soluzioni trasportabili, che lavorano con grossi ventilatori a livello del vigneto, ma sono decisamente meno efficienti degli impianti a torre. Altri coltivatori, ancora meno dotati di mezzi, hanno versato grandi mucchi di paglia sui capofila delle vigne, dandogli fuoco nel tentativo di smuovere l’aria fredda. Anche qui proteste dai vicini per l’odore di fumo, e risultati assai poco certi.

Cosa non si fa per un litro d’alcool in più !

© 2021 il farmacista goloso (riproduzione riservata)

13
Dic
20

La Maison Fillioux e l’arte di fare il cognac

È quasi Natale, e il cognac in questo periodo ci sta proprio bene per creare l’atmosfera, come si diceva nelle pubblicità di un noto brandy di molto tempo fa.

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Il Domaine de la Pouyade – Juillac Le Coq

Vi propongo un breve video di una maison piccola e gloriosa, che non ha certo bisogno di promozione: i suoi prodotti parlano da soli, e chi conosce il cognac prima o poi arriva ad assaggiarli e ad amarli.

Il domaine si chiama La Pouyade, è medio/piccolo, a gestione familiare ed orgogliosamente indipendente dalle grandi case di négoce, ormai vere e proprie multinazionali. Qui abbiamo solo: la famiglia Fillioux, produttori di cognac da cinque generazioni, una casa padronale, la corte agricola, e tutt’intorno i vigneti della proprietà, in quella ristretta zona a sud di Segonzac, che è unanimemente considerata il Grand Cru della Grande Champagne, a sua volta il Prèmier Cru del cognac.

Gli alambicchi sono a poca distanza, in una distilleria professionale gestita da un’altra famiglia, ma la distillazione è seguita personalmente dai Fillioux, a garanzia della qualità dei cognac della maison.

Ma il segreto non è tutto qua: esso consiste anche nella perfetta maestria del legno, in tutte le sue sfumature, un argomento praticamente dimenticato dagli appassionati, a favore del tempo. I Fillioux ci insegnano questa grande lezione.

Guardate il filmato, se potete capire il francese ascoltatelo anche, e comprenderete tutto l’amore che c’è dietro la creazione di un grande cognac.

Buon Natale a monsieur Pascal, a Christophe, ed a tutti i miei lettori!

15
Ago
20

Artusi, un bicentenario ed una sorpresa spiritosa.

Giusto pochi giorni fa, il 4 agosto 2020, si festeggiava il bicentenario artusiano: il primo moderno gastronomo italiano era infatti nato a Forlimpopoli esattamente duecento anni fa.

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Pellegrino Artusi (1820 – 1911)

Vale la pena di riprendere in mano la sua Scienza in Cucina e l’Arte di Mangiar Bene, libro che ormai è in ogni casa italiana, e fa parte del repertorio di ricette di chiunque si voglia accingere a preparare un piatto della nostra tradizione gastronomica. Scritto in buona lingua del tempo, a dire il vero assai toscaneggiante,  ogni ricetta è stata “scientificamente” collaudata dall’autore; talché, essendo versati un minimo nell’arte culinaria, è difficile che i piatti riescano male, per la precisione nella modalità di esecuzione che l’Artusi descrive nell’opera. Certo, all’epoca si abusava di condimenti, ed oggi molte preparazioni risultano fuori moda e da alleggerire. Oltre ai condimenti letterari, di cui il libro è pieno, tanto che oramai la Scienza in Cucina viene considerata a giusto titolo un classico della letteratura italiana, che ha formato generazioni di lettori, non solo ai fornelli.

La tradizione discorsiva dei ricettari inframmezzati di andeddoti e storielle capaci di interessare le lettrici non tramonterà presto: ne abbiamo un notissimo esempio una cinquantina d’anni dopo con le Ricette di Petronilla, che ricalcano fedelmente le orme artusiane, seppure in chiave ancora più domestica, e con una lingua fattasi ormai moderna, e più vicina all’italiano dei nostri giorni. Sarà solo col Dopoguerra che la maniera artusiana cederà il passo all’essenzialità di ingredienti e ricetta in poche righe, col Cucchiaio d’Argento, edito nel 1950.

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La prima edizione de La Scienza in Cucina – 1891

Ma torniamo all’Artusi, ed a quello che ci interessa: se vogliamo trovargli un difetto, il Nostro non era amante dell’alcool, e oserei perfino di dichiararlo astemio, se nell’introduzione all’opera ricorda tra le norme igieniche della tavola che

Non è bene il pasteggiar col vino perché il rosso non è di facile digestione, e il bianco, essendo alcoolico, turba la mente se questa deve stare applicata.

L’uso de’ liquori, che a non istare in guardia diventa abuso, è riprovato da tutti gli igienisti pei guasti irreparabili che cagionano nell’organismo umano.  Può fare eccezione soltanto un qualche leggero poncino di cognac (sia pure con l’odore del rhum) nelle fredde serate d’inverno.

Male, male assai poi fanno coloro che si lasciano vincere dal vino. A poco a poco, sentono nausea al cibo, e si nutrono quasi esclusivamente di quello; indi si degradano agli occhi del mondo, diventando ridicoli, pericolosi, e bestiali.

Tra le sue ricette, se ne ricordano poche a base alcolica: tra cui un celebre nocino, qualche rosolio e ponce, un elisir di china, le pesche sotto spirito, e l’uso dell’alchermes e dei rosoli nella zuppa inglese ed altre preparazioni dolci, com’era l’uso del tempo.

Ma alla conclusione del celebre repertorio l’Artusi ci fa una sorpresa, scrivendo degli stomachi deboli. È bello rendere onore al grande gastronomo romagnolo ricordandolo… amante del cognac, e di quello autentico!

In quanto ai liquori farete bene ad escluderne l’uso dal vostro regime anche perché dall’uso si può passare all’abuso che sarebbe fatale; si può fare soltanto un’eccezione pel cognac, senza abusarne però, ma di quello che non costa meno di sei o sette lire la bottiglia.

Qui pongo fine, e ripeto col poeta:

Messo t’ho innanzi: ormai per te ti ciba.

© 2020 il farmacista goloso (riproduzione riservata)

09
Feb
20

Il cognac ha deciso: NO al finishing

Era nel’aria da tempo: tra i produttori ed i controllori della filiera cognac la discussione sul finishing andava avanti accanitamente, tra le fazioni dei modernisti e dei conservatori.

Come saprete, la pratica del finishing è quella per cui il distillato viene posto in una botte (impregnata) che ha contenuto un altro liquido, sia esso vino oppure un distillato, per la sua maturazione finale. Il metodo è ampiamente utilizzato nel whisky, e per il brandy spagnolo. Invasivo ed incisivo sul prodotto finale, l’apporto di una botte di primo passaggio segna permanentemente il carattere dell’acquavite che uscirà da questa. In misura minore, se la stessa sarà di secondo, terzo o quarto passaggio.

A farla breve, si tratta di un metodo di concia del distillato che si avvale di ciò che contiene la botte nelle sue doghe, e quando si vuole imbrogliare, anche nel suo fondo: non è poi così raro che ciò accada. Per certi distillati questo matrimonio adulterino avviene senza troppi scrupoli, ma che non lo si sappia, per amor di Dio. Il cliente in cerca di morbidezza, la famosa e vendibilissima smoothness, la troverà facilmente ed il distillatore non avrà bisogno di pagare il prezzo degli anni di maturazione, o di cercare altre scorciatoie ancora meno legittime. Così va il mondo. Ma questo è il lato oscuro del finishing.

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Anche a Cognac la tentazione è stata forte: il finishing è troppo interessante come strumento per portare in commercio in pochi anni dei brandy accattivanti e godibili, apprezzati da un pubblico indistinto e dalla mixology, per non utilizzarlo.

Soprattutto le Grandi Case hanno tentato questo approccio. Peraltro semplice per loro, dal momento che essendo ormai multinazionali, hanno gioco facile nell’ottenere dalla propria filiera globale le botti usate necessarie. Uno scherzo da ragazzi, insomma. Più costoso e complicato a farsi invece, per i produttori artigianali legati alla secolare manualità.

La rottura della tradizione si è consumata quindi, sotto la pressione del mercato – si badi bene, non dei consumatori, ma della concorrenza industriale – dando la stura a prodotti non convenzionali, per inseguire una moda, e forse, crediamo, per tentare di avvicinare al consumo del cognac una platea di bevitori già abituata a questo linguaggio liquido.

Ecco quindi la Martell creare pioneristicamente nel 2016 il Blue Swift, un “cognac” VSOP con finishing in botti ex-bourbon. E la risposta della Courvoisier, l’anno seguente, con la Master’s Cask Collection, una bella strizzata d’occhio al mondo del whisky con un audace finishing in botti ex-sherry PX. All’inseguimento, la Camus con l’accattivante Port Cask Finish. Non ultimo, il marchio Pierre Ferrand, ormai lanciato all’inseguimento dei big e fortemente orientato al mercato della mixology, osava due diversi finishing in botti ex-sauternes ed in legno di castagno.

Nella scia di questo svecchiamento del cognac si è posta anche la Maison Bache-Gabrielsen, con la sensibilità del suo Maître de chai Jean-Philippe Bergier, che però ha utilizzato un finishing in quercia bianca per il suo VSOP American Oak, rimanendo quindi nelle pieghe della tradizione. Lo stesso ha fatto la Maison Park con un VSOP finito in quercia Mizunara.

Il prezzo da pagare è infatti assai alto: il cognac che vede legno contaminato da altri liquidi oppure legni diversi dalla quercia perde il diritto alla AOC Cognac. Il disciplinare è tassativo, e le pressioni della grande industria per ottenere la necessaria flessibilità creativa sono state, come si può immaginare, parecchio forti.

Ora è arrivata la decisione finale.

Il BNIC, l’organo regolatore di tutta la filiera della professione, esaminata la questione definitivamente, prima di Natale ha deciso che la pratica del finishing non darà diritto alla denominazione cognac.

Tutte le produzioni in commercio a base cognac che hanno subìto finishing continueranno a mantenere quindi il comune titolo di eau-de-vie de vin, e non la patente di nobiltà di cognac.

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Vigneti dell’AOC Cognac – fonte: http://www.tourism-cognac.com

Ciò non toglie la legittimità degli esperimenti delle Case, e perfino l’apprezzamento per gli accattivanti risultati ottenuti, ma la tradizione è salva. Ed alla tradizione si appellano le centinaia di artigiani distillatori e di imbottigliatori indipendenti, che confidano solo nel tempo per donare ai loro cognac le caratteristiche che hanno reso famosa quest’acquavite. Il Re non è nudo.

© 2020 il farmacista goloso (riproduzione riservata)

18
Dic
19

Dal proibizionismo al protezionismo? – nuovi pericoli incombono sul cognac

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Le recenti tensioni commerciali tra gli Stati Uniti e l’Europa rischiano di creare una crisi drammatica anche tra gli alambicchi francesi.

L’ipotesi di istituire un dazio all’importazione sul 100% del valore di alcune merci, tra cui una grossa parte della filiera agro-alimentare europea, a partire dalla metà di gennaio 2020 – che per ironia della storia viene proposto da un presidente astemio in coincidenza col centenario dell’avvio del proibizionismo alcolico negli USA – fa tremare i polsi dei produttori di cognac e dei loro importatori locali.

Ad ottobre la tariffa era stata alzata al 25% per molte voci d’esportazione per compensare il danno dovuto alle sovvenzioni europee alla Airbus, ma sia i brandy francesi che il vino italiano (tra cui il Prosecco, principale voce del nostro export), vi sono sfuggiti. Ora il rischio si fa molto concreto, e potrebbe strangolare anche la forte esportazione del cognac verso il Paese americano: gli Stati Uniti sono il primo cliente della regione, con un import di circa la metà dell’intera produzione annuale. Gli ultimi dodici mesi hanno visto l’esportazione verso gli USA di ben 105 milioni di bottiglie di cognac. I danni possibili potrebbero quindi essere enormi, come già stanno sperimentando i vicini del Bordolese, già morsi dai dazi ottobrini.

Le contromisure delle aziende di Cognac sono già state messe in opera, aumentando la fornitura degli stock locali, in grado di tamponare per qualche tempo la vivace domanda interna statunitense. Ma un dazio al 100% sul valore dell’import potrebbe danneggiare in maniera drammatica la filiera cognac, dando origine ad una nuova crisi, dopo che quella relativa alla limitazione della corruzione cinese è stata pressoché assorbita.

Ma non c’è dubbio che la guerra commerciale dichiarata da Trump a tutti i tradizionali partner degli Stati Uniti non sarà una passeggiata per la Charente, e potrebbe mettere in pesante difficoltà soprattutto i quattro principali attori: Martell, Courvoisier e Rémy Martin, ma in misura maggiore di tutti la Hennessy, che da sola pesa per metà della produzione dell’AOC Cognac.

Non è da escludere un accordo futuro, come sembra nello stile della presidenza Trump, ma la pistola sul tavolo del commercio atlantico sta per essere posata non appena finite le festività natalizie.

© 2019 il farmacista goloso (riproduzione riservata)

17
Nov
19

Accadeva 60 anni fa nel Saarland: come contrabbandare il cognac e vivere felici

Storie del tempo che fu: sul confine tra Francia e Germania non è mai corso buon sangue. Dall’epoca dei Franchi, dei Carolingi e Lotaringi, e degli imperatori Sacri e Romani, fino a dopo la seconda Guerra Mondiale, le terre a cavallo del Reno e dei suoi affluenti sono state contese tra le due nazioni, passando ripetutamente di mano. Alsazia, Lorena, e la piccola regione mineraria della Saar mostrano ancora oggi tracce più o meno profonde di entrambe le culture, così come fa il Granducato del Lussemburgo.

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La Saarschleife (ansa della Saar),

La Saar (Sarre in francese) non ha fatto eccezione: terminata l’ultima guerra, il suo territorio è stato occupato militarmente dai francesi, ed era destinato a diventare uno staterello indipendente di lingua tedesca sotto protettorato francese, sfruttato per le sue risorse minerarie e carbonifere. Ma la Storia decise diversamente: un referendum popolare ne rigettò il trattato costitutivo, e la piccola regione poté quindi ritornare sotto sovranità tedesca nel 1957, ed abbandonare il franco francese ed il regime di unione doganale con la Francia dopo un periodo di transizione di due anni e mezzo.

Che c’entra il cognac? Essendo appunto in unione doganale con la Francia, i prodotti francesi avevano libera circolazione nel Saarland. Per effetto del trattato di restituzione alla madrepatria, si stabilì che le merci presenti nella Saar alla fatidica data X del 6 luglio 1959 – il giorno in cui veniva reintrodotto il marco tedesco – avrebbero potuto circolare nel resto della Germania in esenzione di dazi e di tasse. La norma era stata chiesta a gran voce dagli industriali francesi, non ultime le organizzazioni rappresentative dei produttori di vino e cognac, ed il governo tedesco non vi si oppose, considerandola transitoria, pur di riottenere il territorio sotto piena sovranità monetaria oltre che politica.

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Edeka – Cognac fine Champagne Vieille – pubblicità 1960 circa

Il cognac nel dopoguerra era un bene di lusso per i tedeschi. La ghiotta ma poverissima Germania Federale ne consumava si e no 300.000 bottiglie/anno, contro i dieci milioni circa di oggi. Il loro prezzo medio nel 1959 era compreso tra 28 e 30 marchi tedeschi (4.500 lire di allora), per le qualità correnti (VS/***).

Il fatale giorno X riversò sul mercato degli altri Länder una massa di cognac imprevista, facendone precipitare il prezzo di quasi la metà, che era più o meno il margine di questo lucroso commercio. L’importatore tedesco intascava al tempo circa il 10% del prezzo al pubblico del cognac, un 5% rimaneva ai suoi rappresentanti, i grossisti avevano un altro 15%, ed i dettaglianti un 20/25%. Il fisco tedesco faceva la sua parte, chiedendo all’importatore tra dazi ed accise una cifra di oltre 7,5 marchi per litro di cognac, oltre ad una perequazione dell’IVA; senza considerare che le botti venivano considerate tara per merce, e pesavano parecchio.

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I prezzi del cognac dopo il giorno X

I grossisti della Saar quindi poterono, in virtù del trattato del Lussemburgo, stoccare cognac ed altri beni in esenzione fiscale, per poi rivenderli in Germania, una volta tornato il marco tedesco nel loro territorio. E fecero enormi affari.

Chi ne fece le spese invece furono gli importatori ufficiali tedeschi, travolti da un fiume di cognac a prezzi francesi: nella Saar infatti il cognac si comprava in franchi francesi ad un costo compreso tra 14 e 20 marchi. E naturalmente anche le dogane della Repubblica Federale ci perdettero qualche milione di marchi di allora.

Da Cognac per settimane e settimane prima del giorno X partirono quotidianamente colonne di camion piene di acquavite, allo scopo di aggirare le barriere doganali tedesche: di fatto si stava praticando una sorta di contrabbando legalizzato dal trattato internazionale. La stessa Hennessy, la più grande produttrice di cognac, che non ne aveva certo alcun bisogno, riuscì a pochi giorni dal cambio di regime fiscale a depositare nel Saarland una spedizione di cinquantamila bottiglie in un colpo solo.

Si stima che alla data del 6 luglio 1959 la regione della Saar detenesse uno stock in franchigia di circa un milione e duecentomila bottiglie di cognac, pari al consumo di quattro anni dell’intera Germania di allora, più un’imprecisata quantità di botti di acquavite giovane (per legge non ancora cognac) a grado pieno, da maturare sul posto, diluire, e vendere negli anni futuri come “brandy tedesco”, sfruttando le pieghe del trattato.

 

Dopo il periodo di transizione quindi i grossisti tedeschi di alcolici furono sommersi da valanghe di offerte di acquisto a prezzi competitivi di brandy e cognac provenienti dal nuovo Land, grazie a questo irripetibile vantaggio fiscale. Le lamentele degli importatori ufficiali di cognac furono altissime nei palazzi di Bonn, ma nulla poterono davanti alla ragion di stato: e per una volta fu godi popolo !

© 2019 il farmacista goloso (riproduzione riservata)

28
Set
19

Ad ottobre il cognac si mette in mostra

Con l’arrivo della stagione fredda iniziano ad apparire le iniziative divulgative e promozionali sul celeberrimo distillato francese, volte ad aumentarne la conoscenza oppure il commercio.

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Un’immagine da Cognac Experience 2018

La Norvegia è il paese dove per tradizione il consumo di cognac pro capite è il più elevato al mondo. Non desta quindi meraviglia che si svolgano più manifestazioni, rivolte agli appassionati ed ai cultori, prima ancora che ai novizi.

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La locandina degli eventi francesi.

 

L’Olanda offre un evento, giunto ormai alla sua terza edizione, con un vivace panorama di produttori ed importatori, ed un mercato locale in pieno sviluppo tra grandi appassionati, eccellenti commercianti e alcuni imbottigliatori e collezionisti d’eccezione.

Nel Regno Unito si esporta whisky ma l’uso del cognac è ancora ben radicato, tanto che rimane il primo consumatore europeo in volume del distillato.

In Francia invece il terreno è ancora da dissodare (i francesi fanno i migliori brandy del mondo, ma bevono whisky), ed al di fuori delle fiere vinicole, dove qualche Maison artigianale si mette in vetrina, senza peraltro avere lo stesso supporto donato dai consorzi delle AOC al mondo del vino, gli episodi di propaganda e divulgazione hanno un obiettivo generale, anche se qualcosa si sta muovendo.

Ecco quindi cosa succederà oltralpe fra pochi giorni.

  • Norvegia, Bergen – 11/12 ottobre

COGNAC EXPO

La fiera norvegese con più tradizione apre ancora una volta le sue porte nell’affascinante città di Bergen, e promette la solita robusta iniezione di Maison e di cultura del cognac. Le masterclass organizzate per quest’ottava edizione saranno tenute dai maîtres de chai o dai titolari delle seguenti Case: Godet, Meukow, Normandin-Mercier, Rémy Martin. Senza contare il giorno precedente la spettacolare Extreme Masterclass – estrema anche nel prezzo, circa € 260 – tenuta stavolta da Stéphane Burnez, il maître de chai di Prunier, una tra le poche Maison ad avere in catalogo una collezione di cognac d’annata impressionante per qualità e varietà.

     cognac expo

  • Norvegia, Trondheim – 12 ottobre

COGNAC EXPERIENCE

La seconda edizione di questa vivace fiera, organizzata dalla Sociètè de Cognac di Trondheim in collaborazione con VinPuls e con gli importatori norvegesi di cognac, promette di superare l’immediato successo dell’anno scorso. La più settentrionale delle grandi città norvegesi offrirà in mostra oltre venti espositori, e la presenza di svariati maîtres de chai provenienti dalla Charente. Tra le curiosità, il bis del Corso introduttivo al meraviglioso mondo del cognac tenuto da Roar Hildonen, patron del celebre ristorante di Trondheim To Rom og Kjøkken, e la Opulence Revealed Session di Rémy Martin in cui il brand ambassador Peter Jones abbinerà delikatessen ai cognac della Maison. Non mancheranno le masterclass con le Maison: la norvegese Brillet, la napoleonica A.E.Dor con il pirotecnico Nicholas Mandon, l’illustre Delamain con il leggendario maître de chai Dominique Touteau, da 40 anni custode del buon nome della Casa, e l’artigianale, giovane ed apprezzatissimo Domaine Pasquet, tra i rari produttori bio della Charente. Ultimo ma non per ultimo, il cocktail bar al cui bancone sarà presente Jørgen Dons del Raus Bar di Trondheim, reputato tra i migliori baristi dell’intera Scandinavia.

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  • Olanda, Utrecht – 13/14 ottobre

 DISCOVER COGNAC

Unica fiera olandese dedicata al cognac, la sua terza edizione si terrà ad Utrecht, e vedrà rappresentate la bellezza di 29 Maison, tra medie, piccole e familiari, in grado di accontentare dal bevitore occasionale fino all’amatore sfegatato con circa 80 diverse proposte in bottiglia. Il lunedì la giuria assegnerà il premio per il miglior cognac importato in Olanda.  Sito: discover cognac

  • Francia, vari luoghi – 11/12/13 ottobre

LES VISITES PRIVÉES DES SPIRITUEUX

Organizzate dalla Federazione dei Distillatori e dei Distributori    francesi di alcolici, queste visite guidate offerte dalle singole   Maison permetteranno di conoscere la storia ed il saper fare delle     aziende, attraverso degustazioni, masterclass e l’apertura delle   distillerie e dei magazzini di affinamento. Tutta la Francia     alcolica – anche d’Oltremare – è coinvolta, non solo la regione del    cognac, ma in questa occasione saranno accessibili numerose Maison     di   prestigio, non visitabili dal pubblico in circostanze    normali.   Tutto il programma si può leggere qua: spiritourisme.com

  • Regno Unito, Londra – 24/25 aprile 2020

COGNAC SHOW

Non possiamo dimenticare il Cognac Show che si terrà a Londra il 24 ed il 25 aprile 2020: ma per quello ci sarà ancora tempo di parlarne. In Italia purtroppo è ancora buio pesto per il nobile distillato delle due Charentes.

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Un’immagine da Discover Cognac 2018

Se avete intenzione di partecipare ad uno di questi eventi, ora sapete tutto su cosa vedere e dove andare.

© 2019 il farmacista goloso (riproduzione riservata)

22
Mag
19

Il colore del cognac

Il colore del cognac è la prima impressione che riceviamo dalle bottiglie esposte in fila su di uno scaffale. L’etichetta ci darà poi altre informazioni, più utili per identificarne il contenuto.

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I colori “naturali” del cognac da 2 a 50 anni

Ma il colore del distillato è veramente un criterio-guida per scegliere una bottiglia? Il neofita dirà irrimediabilmente di sì, mentre il bevitore smaliziato assolutamente no. Dove sta la verità?

Il colore del cognac ha due origini: la prima, naturale; la seconda, aggiunta. Vediamo meglio.

Il colore naturale è quello impartito all’acquavite dal legno della botte, in funzione:

  • del tempo trascorso dal distillato in essa
  • del tipo di tostatura della botte
  • del fatto che la botte sia di primo impiego oppure no
  • del tipo di legno impiegato (sempre di quercia, però).

Il colore aggiunto deriva dagli additivi usati per migliorare l’aspetto ed il sapore del distillato, e varia a seconda delle quantità:

  • del caramello
  • del “misterioso” boisé.

È bene dissipare ogni dubbio sul caramello. Questo, contrariamente a quanto pensano alcuni, non ha alcuna influenza sul sapore del brandy a cui viene aggiunto; la sua origine è naturale, trattandosi di zucchero bruciato, e per le quantità adoperate correntemente non può né alterare il gusto dell’acquavite, né possedere proprietà dolcificanti: è anzi amaro di natura.

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Un cognac d’epoca di circa 5/6 anni, intensamente colorato

Lo scopo tecnologico per cui il caramello viene impiegato è di livellare il colore delle varie partite di un determinato imbottigliamento, oppure di incrementarne il colore per le richieste di alcuni mercati d’esportazione (tipicamente quelli asiatici, che desiderano un prodotto scuro e più dolce della media).

L’altro additivo che influenza il colore del cognac è il boisé, l’estratto di legno di quercia, talvolta invecchiato a lungo, che viene usato per dare profumi, corpo, e tannino al distillato. Un boisé ben stagionato in botte è amarissimo ed estremamente scuro, e ne basta mezzo bicchierino da liquore per far apparire un intero tino di cognac come se avesse trascorso parecchi anni di più nel proprio legno. Ma è solo maquillage, come dicono i francesi.

Il suo principale impiego è nei cognac giovani, ai quali dona una parvenza di invecchiamento, ed una marcia in più quanto ad aroma e sapore: una suggestione per il palato del grande pubblico, poiché il bevitore allenato ne riconosce quasi sempre l’impiego. Ma il prodotto deve essere usato con mano estremamente prudente. Il suo uso è taciuto da ogni produttore, e ad esplicita domanda, il più delle volte negato sdegnosamente, perché è un trucco tecnologico e stilistico proprio di ciascuno, artigiano o industria che sia, ed all’arte non piace mettere in piazza i segreti del mestiere. Pare che una botte di vecchio boisé valga parecchie volte più di quella di un cognac stravecchio: chi ne possiede, ha in cantina una discreta fortuna, insomma.

La gamma cromatica del cognac si estende dal giallo tenue dei neonati di 2 anni fino all’ambrato profondo dei cinquantenari ed oltre. Una colorazione che tende al bruno nei cognac piuttosto giovani, oppure di un magnifico color ramato anche quando hanno una certa età, fa immediatamente sospettare l’uso del boisé e/o del caramello nelle sue diverse sfumature.

I mercanti inglesi del Settecento sapevano già come ottenere una tintura di trucioli di quercia per contraffare il colore del giovane brandy francese e venderlo come “Old Brown Brandy”, naturalmente dopo averlo addizionato generosamente di sciroppo, maturato in una botte contenente del vecchio cognac. Mentre l’aristocrazia aveva già capito tutto, ed a questi prodotti sofisticati preferiva i distillati chiamati “Pale and Dry”. Che per inciso è ancora oggi vanto di una marca molto amata in Inghilterra.

La verità, dicevamo. Eccola: il colore non è mai il criterio di scelta di un cognac, e resta un piacere per l’occhio, tutt’al più. Il senso comune da secoli racconta che il distillato più scuro è, più invecchiato sarà: l’amatore di cognac invece sa che è vero il contrario. Quanto minore è il colore in un vecchio distillato, tanto maggiore sarà la sua onestà.

© 2019 il farmacista goloso (riproduzione riservata)

14
Apr
19

XXO: una nuova sigla per il cognac


Il mondo degli invecchiamenti del cognac è già abbastanza oscuro: ma da pochi mesi l’ente di controllo della filiera, il BNIC, ha approvato l’uso di una nuova sigla per una categoria d’invecchiamento.

La richiesta nasce dalla maison Hennessy, la più grande azienda della regione, che nel 2017 aveva lanciato un imbottigliamento di lusso per il mercato asiatico, dal costo di circa 600 dollari, con la sigla XXO, subito sospeso dal commercio dalle autorità francesi, perché non previsto dai regolamenti ufficiali.

Un’antica mignonnette di cognac Hennessy XXO – da Sudouest.fr / Philippe Menard

XXO significa “eXtra eXtra Old”: Hennessy non si è data per vinta, e come leader di mercato, ha dapprima opposto un ricorso alla giustizia amministrativa, che nel gennaio dell’anno scorso le ha dato torto; e successivamente ha fatto lobbying sul BNIC, il quale ha inoltrato la richiesta all’INAO, l’ente che certifica le denominazioni di origine francesi, per introdurre questa nuova denominazione di invecchiamento, approvata infine a giugno 2018.

L’autorizzazione è arrivata come frutto di un compromesso: la sigla XXO è stata integrata nel cahier des charges AOC cognac e significa che il più giovane cognac contenuto nella bottiglia deve avere almeno 14 anni di invecchiamento certificato in botte. L’INAO ne ha quindi autorizzato l’impiego, a condizione che diventasse bene comune della denominazione, e non solo di una maison, seppure la più importante. Dall’8 novembre 2018 la nuova denominazione è legalmente efficace.

La ragione per cui Hennessy pretendeva di usare questa sigla si fa risalire ad alcuni imbottigliamenti della Casa commercializzati già dal 1872, ed in seguito abbandonati con l’entrata in vigore dei regolamenti di tutela della denominazione.

Oggi le ragioni sono perlopiù di visibilità nei mercati premium asiatici (duty free in primis), dove il gigante del cognac ha un ricco business: potervi portare un prodotto con un maggior invecchiamento certificato ufficialmente dà alla maison Hennessy una potente arma di marketing. Il metodo non è nuovo, se anche il consorzio del Chianti in Italia ha seguito le stesse logiche; si tratta della premiumizzazione del prodotto, rendendolo distinguibile come categoria superiore al consumatore, per poi chiedergli un prezzo maggiore.

La presentazione del cognac Hennessy X.X.O. – da DFS.com

Ad oggi le sigle degli invecchiamenti certificati del cognac sono quindi:

  • VS – due anni di invecchiamento in botte
  • VSOP – quattro anni di invecchiamento in botte
  • XO – dieci anni di invecchiamento in botte (dal 2018)
  • XXO – quattordici anni di invecchiamento in botte (dal 2019)

Le ragioni dell’industria non sempre combaciano con quelle dei vignaioli produttori. Parecchi dei 1600 vignaioli fornitori di Hennessy distillano e vendono in proprio una parte del loro cognac. Quanti di loro avranno il coraggio di utilizzare la sigla creata per servire gli interessi della potente maison?

L’inutilità di questa disposizione è del resto palese: buona parte del cognac imbottigliato dagli artigiani distillatori (bouilleurs de cru) è venduta ad età ben superiori a 14 anni, senza che siano necessarie ulteriori specifiche legali. La tradizione del commercio assegna già da tempo a questi distillati delle denominazioni non ufficiali ma accettate, come Vieille Reserve, Très Vieux, Hors d’Age, Extra, ed altre, che permettono all’appassionato di individuare facilmente la fascia di invecchiamento del cognac, valutato anche il prezzo di vendita.

In ogni caso, a parere di chi scrive, la differenza qualitativa di soli quattro anni tra le due categorie legali non è un gradiente significativo. È cosa generalmente nota che gli invecchiamenti del cognac seguono incrementi di almeno un lustro per volta, o anche di un decennio, per apportare un’eloquente differenza tra due imbottigliamenti. Questo vale in special modo quando si considerano i primi due crus, i cui cognac beneficiano sensibilmente dei grandi invecchiamenti. Alla fine, quindi, più fumo che arrosto.

© 2019 il farmacista goloso (riproduzione riservata)




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