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14
Nov
21

Francis Darroze – in memoriam

Francis Darroze, il padre del bas-armagnac moderno, è scomparso a Biarritz una settimana fa all’età di 85 anni.

Nipote del fondatore dell’omonimo albergo e ristorante aperto a Villeneuve-de-Marsan, nelle Landes della Guascogna nel lontano 1870, ne è stato per decenni chef e patron, dopo che suo padre Jean l’aveva innalzato ad uno dei migliori indirizzi del Sud-Ovest, grazie al suo apprendistato di cuoco nei migliori ristoranti della Francia.

Personaggio ben conosciuto nel mondo della cucina e dei distillati francesi, ha lasciato il segno attraverso la sua passione per l’armagnac, di cui era un fine intenditore.

Marc e Francis Darroze – fonte New York Times

Nei lunghi decenni di attività i Darroze avevano cominciato a proporre agli ospiti del ristorante una curatissima selezione di véritables eaux-de-vie régionales du Bas-Armagnac accumulata nei tipici pot gascon nelle proprie cantine; da buoni guasconi sapevano dove scovarli tra i numerosi produttori della loro provincia.

Tra la clientela e come consulente d’eccezione per la loro grandiosa carta dei vini avevano monsieur Baudouin, il fondatore della Revue du vin de France che, ammaliato dalla grandezza di questa acquavite, esortava il patron di farla conoscere al di fuori dei confini delle Landes. In effetti fino agli anni ‘60/’70 il bas-armagnac stentava nella diffusione, ancora regionale, e non era conosciuto se non approssimativamente nel resto della Francia ed all’estero. Il grosso dell’armagnac veniva infatti venduto in botte ai commercianti locali, i quali facevano e fanno tuttora blending e lo diluiscono alla gradazione standard di 40°. I maliziosi dicono che molte di quelle botti prendessero la strada di Cognac, per rinvigorire e dare corpo e profumo ai loro distillati esangui. Ma vogliamo immaginare che fossero tutte gelosie da provinciali.

Darroze fondò quindi nei primi anni Settanta la Société des Bas Armagnacs Francis Darroze, e cominciò ad imbottigliare uno stock di magnifiche botti da lui selezionate tra i produttori del bas-armagnac delle Landes. Quello dei vicini, appartenente all’altra provincia, il Gers, non ha mai avuto le sue attenzioni, perché lo considerava di qualità inferiore. Ancora una gelosia di provincia, ma non del tutto infondata. Le prove che Darroze portava in bottiglia lo dimostravano a sufficienza.

La sua filosofia è sempre stata di proporre alla sua clientela il bas‑armagnac imbottigliato nel suo stato più puro, cioè inalterato. Un vero bas-armagnac tradizionale deve essere distillato sul domaine, invecchiato in zona, e soprattutto non essere ridotto di gradazione con acqua, né miscelato ad altri distillati di diversa annata o produttore, né tantomeno additivato di zucchero, boisé o caramello. Sono difficili da bere, ma quanta soddisfazione, poi !

Le sue etichette recano l’indicazione di provenienza dal domaine in cui il bas-armagnac è nato, il millesimo di distillazione, e l’anno di imbottigliamento in vetro, oltre al nome della Maison Darroze. Quindi un bas-armagnac con queste caratteristiche mantiene in pieno la tipicità e le caratteristiche del territorio e del produttore, oltre che dell’annata di nascita, che è la qualità più conosciuta dell’armagnac.

Le prime bottiglie, provenienti da piccoli produttori o talvolta da grandi tenute della zona, leggendaria quella del domaine de Saint-Aubin, di cui Francis Darroze acquistò dopo infinite discussioni l’intero stock, formarono il suo biglietto da visita: vendute ai ristoratori amici nei migliori locali di Francia, furono un formidabile trampolino di lancio per l’oscura acquavite. A metà degli anni Settanta il mito del bas‑armagnac delle Landes era creato, e la fama di Darroze cominciava a girare tra gli appassionati di tutt’Europa e non solo, grazie alla domanda schizzata in alto. Di questa fama mondiale beneficiarono ovviamente gli altri produttori tradizionalisti della regione, primo tra tutti monsieur Laberdolive.

In pochi anni Francis Darroze era diventato più celebre come mercante di armagnac che come eccellente ristoratore, tanto da dover costruire una nuova sede per la sua attività poco lontano, a Roquefort. Qui dal 1982 ci si prende cura di ogni singola botte portandola a perfezione mentre invecchia. Una visita a questa sorta di museo del bas-armagnac è imprescindibile per ogni appassionato che si rispetti, benché questa località sperduta nelle campagne landaises non abbia alcun’altra attrazione. La cura e l’amore per il distillato d’Armagnac che questa maison, da anni ormai gestita del figlio Marc, porta avanti, fanno dimenticare che i Darroze non sono né distillatori né viticoltori; ma hanno saputo preservare e diffondere il carattere e lo spirito autentici della fiera acquavite di Guascogna.

La maison Darroze a Roquefort (Landes) – fonte: Tourisme Landes d’Armagnac

Non giudicate pertanto un armagnac, e segnatamente un bas-armagnac finché non avrete degustato una delle loro bottiglie. Benché non riuscirete più a trovare i loro primi imbottigliamenti, potete considerare ogni loro bas-armagnac millesimato come una pietra miliare da cui partire per comprendere il valore del resto della denominazione.

Francis Darroze lascia il suo négoce nelle solide mani del figlio Marc, e la storica locanda di famiglia in quelle della figlia Hélène, da anni celeberrima tra le cuoche di Francia col suo locale parigino, e patronne dell’omonima insegna, ora tristellata, nel glorioso Hotel Connaught nel cuore di Mayfair (Londra). Da noi appassionati le condoglianze alla famiglia.

© 2021 il farmacista goloso (riproduzione riservata)

18
Gen
21

L’armagnac, il grande dimenticato tra i distillati invecchiati.

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Qualche giorno fa la nota rivista francese Whiskymag pubblicava un articolo con un interrogativo interessante: perché l’armagnac, una delle più belle acquaviti che ci siano, non ottiene visibilità né interesse tra gli appassionati di alcolici, pur avendo tutte le carte in regola per essere très fashionable?

Mi è venuto naturale di voler rivolgere la stessa domanda ai miei lettori, dal momento che l’armagnac è negletto e misconosciuto pure tra i nostri qualificatissimi amatori, gente che ha rivoltato ogni angolo delle Antille e della Scozia, o freme per l’ultima release di qualche microdistilleria del Sol Levante per tacere delle Figi. È davvero strano che ignorino quella miniera d’oro neanche troppo nascosta, a due passi da casa loro, che è la Guascogna.

E se l’articolista, la brava Christine Lambert, paragona l’armagnac al mezcal messicano, è solo perché i loro punti di contatto sono in apparenza condivisi, ed entrambi i distillati vengono messi in ombra dai loro parenti assai più celebri, il cognac e il tequila.

Lei argomenta che l’armagnac ha tutto quello che il consumatore avveduto apprezza in un distillato di tendenza: la provenienza da un terroir determinato, la fabbricazione in cui la mano artigianale si fa sentire, una lunga storia di produzione fatta in prevalenza dalle piccole Case. Dice la Lambert che l’armagnac spunta tutte le caselle dei requisiti che deve possedere un alcolico alla moda. E domanda provocatoriamente: perché non comprate quindi più spesso dell’armagnac?

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Purtroppo è facile risponderle. Madame dimentica una cosa fondamentale: che i distillati di vino sono démodé. E lo sono, badate, nei paesi latini, proprio i luoghi della loro produzione, poiché altrove, tra Stati Uniti e Nord Europa, godono invece di rinomanza e di buoni consumi. In Asia lo stesso. Ma tutto ciò non vale per l’armagnac, la grande madre delle acquaviti europee.

Le ragioni sono presto dette. Dove non c’è domanda non c’è distribuzione, e se non c’è distribuzione non c’è comunicazione, e non si crea nemmeno un minimo di curiosità. Per l’armagnac insorge un problema ulteriore, che si chiama volume produttivo. Tutta la produzione dell’armagnac nel suo complesso eguaglia la capacità di una sola – e piccola – distilleria scozzese. Va da sé che per un importatore proporre al pubblico un’etichetta di una maison oscura che ogni anno riempie da qualche centinaio a poche migliaia di bottiglie è faticoso e non paga il lavoro di promozione in termini di vendite. Stranamente il mezcal ed il clairin riescono ad avere più notorietà, con volumi simili o perfino minori. Che sia merito del fascino esotico?

All’armagnac pesa inoltre l’ingombrante fama del cugino ricco, il cognac. Lui sì che vende, lui è sulla bocca di tutti come lo champagne. Il campagnolo armagnac è schiacciato nell’ombra comunicativa proiettata dalla celebre acquavite charentaise e fatica a ritagliarsi una nicchia perfino in patria, nonostante la sua storia e la sua bontà. Il grosso dei suoi consumi si concentra infatti nella regione di Tolosa.

Le dimensioni delle aziende non aiutano di certo. Poco più di un anno fa ho tenuto un breve seminario di introduzione alle acquaviti di vino francesi al Milano Whisky Festival: parlando in seguito con la titolare di una celebre maison de négoce presente alla fiera, le chiedevo quante bottiglie trattassero per anno. La risposta fu quarantamila, circa quelle di un piccolo vignaiolo italiano. E bisogna proprio pensare a quello, quando si parla di armagnac: i vignaioli e distillatori (bouilleurs de cru) sono piccoli, se non minimi, ancor più rari quelli che vivono soltanto della produzione di armagnac, e le maison de négoce si contano in qualche decina. Sarebbero in verità gli equivalenti guasconi di Martell ed Hennessy, ed alcuni di loro, seppur carichi di quasi altrettanta storia, al confronto fanno la figura dei lillipuziani.

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Che fare quindi? Almeno parliamone.

L’armagnac può offrire all’appassionato di distillati una gamma emozionante di profumi e di sapori, ed un’esperienza ben più intensa di quella del cognac, per quanto più rustica. La concentrazione degli aromi e la notevole lunghezza del retrogusto fanno dell’acquavite guascone un traguardo impegnativo anche per il bevitore più smaliziato.

Non c’è bisogno di grandi invecchiamenti, se già a 15/20 anni un armagnac ha molto da offrire, e non è detto che più invecchi più migliori come certi cognac. Non fissatevi quindi su di un’annata precisa, o su di una bottiglia stravecchia e stracostosa, è tempo e denaro perso.

E soprattutto non giudicate questo distillato da ciò che vi offrono le Case commerciali; il loro armagnac, raccolto presso svariati distillatori e poi affinato nelle proprie cantine è quasi sempre un blend di acquaviti, come si usa a Cognac. Se siete vergini di Guascogna, è bene tuttavia cominciare da queste: che vengono diluite con acqua a gradazioni più basse dell’armagnac tradizionale, e rese meno spigolose e più facili da bere equilibrandole tra di loro, al prezzo di un minor carattere. Avrete fatto il primo passo verso un mondo emozionante, senza diventare matti nella ricerca della bottiglia impossibile.

I piccoli produttori invece sono molto spesso imbottigliatori a domanda che, se andrete a trovarli, vi serviranno il distillato direttamente dalla botte. Sono i gelosi custodi della tradizione più pura: da loro berrete gli armagnac d’annata a gradazione piena, senza la vergogna della diluizione con acqua. Qui il prezzo da pagare è di avere un distillato vuoi fiacco, vuoi troppo legnoso, o di scarsa finezza, o di eccessiva concentrazione, insomma disarmonico. Ma i vignaioli vi sapranno risarcire più che generosamente quando la bottiglia conterrà l’ammaliante equilibrio tra il frutto, il legno, l’alcolicità ben integrata, e una discreta dose di rancio. Càpita.

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C’è tanto da provare, se voleste approfondire i distillati del Gers e delle Landes. La Guascogna ha da offrire ben tre AOC, le denominazioni di origine francesi, e qualche centinaio di produttori. Dalla Blanche d’Armagnac, la vibrante acquavite non invecchiata, capace di sorprendere con la sua profumata energia nei cocktail, al localissimo e sconosciutissimo Floc de Gascogne, alla grande tradizione degli armagnac millesimati, fino alle raffinate distillazioni monovitigno – già, perché l’armagnac contempla dieci varietà nel suo disciplinare, benché quelle coltivate siano in pratica solo quattro – sfogliare il libro di questo alcolico carico di storia può riservare golose sorprese.

Sono distillati difficili da trovare? Alquanto, anche se i produttori più celebri sono importati ormai da anni in Italia; gli imbottigliatori commerciali sono invece reperibili un po’ dappertutto.

Sono alcolici di nicchia? Si, per la loro minuscola produzione e per l’incostanza delle annate, che riflettono quella del vino da cui derivano. Gli armagnac restano ancora troppo in ombra, ma una volta scoperti saranno in grado di recare enormi soddisfazioni a chi è alla ricerca di acquaviti profonde ed intense.

© 2021 il farmacista goloso (riproduzione riservata)

26
Mar
17

A proposito di armagnac e di sake

In questi giorni sono state date alle stampe due novità editoriali di non poco interesse per chi segue il mondo alcolico.

La prima riguarda direttamente gli argomenti del sito che leggete, e mi sento onorato di poter rilanciare su queste modeste pagine un simile parto, raro più della nascita di un orso bruno.

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Copertina del libro di Devecchi

Dopo una vita di passione, o per meglio dire di profondo amore, verso lo spirito guascone, Marzio Devecchi, grande collezionista alessandrino di armagnac, ci offre ora tutta la sua sapienza ultraquarantennale, raccontando per la prima volta al lettore italiano cos’è il vero armagnac tradizionale, la sua storia, e la sua produzione con il più completo catalogo esistente dal 1700 ad oggi, ricco di oltre 2300 etichette.

Un’opera capitale, per la valorizzazione della più misconosciuta e difficile da bere delle acquaviti francesi, la cui unica colpa è di avere una produzione così esigua da renderla pressoché impossibile da reperire fuori dalle due province in cui nasce, o comunque oltre Tolosa e Bordeaux. Ed insisto, si sta parlando di quella artigianale dei vignerons, e non di quella dei marchi che trovate da noi, salvo eccezioni fortuite. Ma che quando è fatta da mano felice, in anno propizio, e maturata per il giusto tempo – credetemi, mi costa ammetterlo – supera con passo gagliardo il Re cognac.

Marzio Devecchi – A proposito di armagnac – Pagine 308 – Team Service Editore – Asti, 2017 – EAN 9788899731106.

 

Il secondo libro invece ci porta in Oriente, alla scoperta del sake, l’inclassificabile (per noi) bevanda che potrebbe chiamarsi vino di riso, ma non è, o fermentato di cereale, ma non è, oppure semi-spirito, ma non è: quindi chiamatelo col suo nome.

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Copertina del libro di Saccoccio

Da poco questo tradizionale drink giapponese sta avendo fortuna anche da noi, e soprattutto conta su un’agguerrito manipolo di conoscitori, divulgatori, e distributori, che ne permettono l’introduzione presso il pubblico italiano.

L’argomento è indubbiamente complicato, la terminologia intricata quanto può esserlo la lingua giapponese, ma anche qui, è sempre bene sottolinearlo, l’incontro con una vera, tradizionale bottiglia di sake, che poco non costa, può aprire orizzonti inaspettati. La bevanda ha sfaccettature e capacità di stupire pari al vino occidentale, e un suo bicchiere contiene una sapienza non meno antica. Merita quindi, mentre l’accostiamo alle labbra, il rispetto del neofita, e l’umiltà dell’amatore, perché è un mondo dalle profondità inaspettate.

L’autore, Gaetano Saccoccio, gastrofilosofo itrano trapiantato a Roma, dalla curiosità inesauribile nonché finissimo contastorie, vi prenderà per mano in un viaggio verso il Paese del Sol Levante, e vi aprirà le porte di un nuovo tempio del buon bere.

Gaetano Saccoccio – Un viaggio nel sake – Il retrogusto dolce e amaro del Giappone – pagine 120 – Edizioni Estemporanee – Roma, 2017 – ISBN: 978-88-89508-80-0

 

 

18
Feb
16

Novità in Armagnac

La regione dell’Armagnac è per tradizione agricola e fortemente conservatrice, fatta com’è di piccoli produttori, nobili e contadini, un manipolo di distillatori conto terzi, qualche cooperativa, e poche Case commerciali di una certa importanza.

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Una raccolta di armagnac dal 1893 ad oggi – da tnhvietnam.xemzi.com

Le vendite dei loro spiriti tradizionali, produzioni quasi sempre modeste, qualche botte all’anno, con stock limitati, interessano poco ad un mercato globale assetato di riproducibilità e costanza qualitativa. In Armagnac infatti si valorizzano meglio le unicità delle annate e dei produttori, come per il vino. Ma come per ogni acquavite di vino che si rispetti, il prodotto è slow, non ama esser venduto da giovane per le sue spigolosità e per il suo alto grado. Prendete un armagnac giovane, diluitelo a 40° con acqua, ingentilitelo con un po’ di zucchero, dategli un’impressione di invecchiamento con il boisé, ed avrete uno spirito di nessun interesse per il conoscitore. Questi però sono la maggioranza dei prodotti che trovate sugli scaffali come armagnac (qualità commerciale, o blended): potranno essere gradevoli, ma non incarnano il vero spirito dell’acquavite guascone.

Il problema dell’armagnac quindi è che l’acquavite tradizionale risulta ostica al grande pubblico, e lo spaventa per la gradazione importante, e che quella ‘conciata’ alla maniera del cognac perde molto del suo fascinoso carattere rustico. Le Case commerciali, strette tra questi due fuochi, stanno però provando a conquistarsi più mercato. Come?

Scuotendo il conservatorismo della regione con qualcosa di nuovo: da poco più di un anno Spirit France, un colosso che è il leader mondiale del calvados (Père Magloire il suo marchio più noto), ha acquisito il controllo del maggiore commerciante di armagnac, la ditta Janneau, dal 1993 di proprietà del mercante di spiriti ed investitore italiano Fabio Giovinetti, con la sua Giovinetti & Partners. Forse vedremo un cambio di strategia di marketing, un’uscita da una nicchia alcolica rivolta al consumo di pretesa, verso qualcosa di più easy, alla portata dei palati giovani e di mercati più larghi.

Di certo Janneau è sempre stato un marchio che strizza l’occhio al bicchiere semplice: molto del suo commercio è fatto di qualità poco stagionate (VS) ed in parte distillate due volte in alambicco charentais, per togliere complessità e guadagnare facilità di beva. Lo fanno altri (pochi) négociants, però mai i distillatori artigianali, chissà perché.

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Un cocktail a base di armagnac – da http://www.adventuresincocktails.com

Altri produttori si sono lanciati all’inseguimento del mercato dei mixed drinks, l’unico modo per agganciare il ‘cocktail’ fatto di brevi o nulli invecchiamenti, grandi volumi di vendita, e di giovane pubblico clubber, meno serioso e poco disposto a centellinarsi soltanto un bicchierino durante la serata. La ‘Blanche Armagnac’ (AOC) è stata una delle risposte: acquavite d’armagnac non invecchiata, pronta per la mixology grazie al suo intenso carattere fruttato e vinoso; altri ancora si stanno orientando verso giovani armagnac dal carattere più delicato, come lo Chateau de Pellehaut con la sua Âge de Glace, tecnicamente un VS di 3 anni monovitigno Folle Blanche, floreale con modesti toni di quercia. Insomma più profumi e meno struttura.

Se prima rischiavate il linciaggio a chiedere un armagnac on-the-rocks ad Eauze e dintorni, ora potreste anche osare: può darsi che vi strizzino l’occhio in nome delle vendite. Ma in cuor loro vi compatiranno.

Altre Case ancora volgono le spalle alla tradition sacrée, portando in Guascogna i metodi del cask finishing cari allo spirito scozzese: quelle horreur! Pur di non restare all’angolo, e cercare di penetrare in mercati in cui l’armagnac manco sanno cos’è, i produttori si arrampicano sugli specchi… ecco allora un fiorire (per fortuna limitato) di botti di sherry, porto, sauternes ed altri vini dolci francesi, in cui ingentilire la sgraziata, robusta e giovane acquavite, e donarle velocemente una robe più palatabile per il grande pubblico. Di per sé non è il male assoluto, ma il carattere dell’armagnac ne esce snaturato.

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Fiale monodose di cognac – maison Voyer (Verrieres)

Tutto il resto che si sta muovendo è solo marketing: nuovi packaging come l’abbandono della tradizionale bottiglia basquaise per contenitori più smart, e meglio ‘incartonabili’, e proposte svecchianti per attirare il grande pubblico, come le tubo-fiale di prova da pochi cl per assaggiare più espressioni dello spirito guascone in un solo acquisto.

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Una tipica bottiglia basquaise – ditta Ryst-Dupeyron

Sarà la strada giusta, o come dicono i più blasonati produttori artigiani, la morte dell’armagnac tradizionale? Più fiduciosamente credo che tutto quanto vi ho raccontato possa essere un mezzo per far conoscere meglio questa emozionante versione dello spirito di vino, ed avvicinare gradualmente i più curiosi e meritevoli alle sue espressioni più alte. Staremo a vedere.

© 2016 il farmacista goloso (riproduzione riservata)

22
Ott
15

L’armagnac commerciale

L’armagnac non è tutto uguale. Nella grande maggioranza dei casi l’armagnac che vedete sugli scaffali è una bottiglia di armagnac “commerciale”. Di che si tratta in realtà? Come riconoscerlo? È vero armagnac?

La risposta è: sì e no. Si tratta di armagnac, non c’è dubbio, ma le modalità produttive lo differenziano pressoché del tutto dall’armagnac tradizionale, che è il “vero” distillato della Guascogna.

Un armagnac XO in bottiglia basquaise - maison Janneau

Un armagnac XO in bottiglia basquaise – maison Janneau

Quasi tutte le bottiglie di armagnac in vendita (85% – 90% almeno) sono costituite da armagnac commerciale. Questo tipo di distillato è il frutto di una lavorazione diversa da quello che prevedono gli usi regionali, ed è molto più simile a quella del cognac: il motivo principale per cui l’armagnac viene preparato in questo modo è la facilità di consumo. Vediamo perché.

Innanzitutto come riconosere l’armagnac ordinario da quello tradizionale?

L’etichetta ve lo chiarisce subito: nell’armagnac commerciale non c’è alcuna indicazione di annata, ma trovate le stesse sigle in uso per il cognac, oppure un’indicazione di invecchiamento come per il whisky.

Ne troverete in vendita i seguenti tipi:

  • VS – il più giovane degli armagnac, a volte chiamato *** (tre stelle), per cocktail o cucina
  • VSOP – un armagnac di almeno 4 anni, il minimo per la degustazione
  • XO – un armagnac di almeno 6 anni, già più armonico, ma ancora non strutturato
  • HORS D’AGE – un armagnac di almeno 10 anni, finalmente adulto
  • MENTION D’AGE – 15 ans, 20 ans, 30 ans, e oltre. Armagnac di età superiore

Ovviamente ogni indicazione sottintende l’età minima della miscela: facilmente si tratta di distillati la cui età media è superiore al dichiarato. Ricordiamo però che non è l’età del distillato che ne determina la qualità. Vecchio quindi non è più buono, almeno non sempre.

Armagnac Hors d’Age – maison Delord – CC license – author EspritVin

Detto questo, la differenza con l’armagnac tradizionale (millesimato) è assoluta: i distillati con le sigle indicate prima sono:

  • diluiti con acqua distillata od una miscela di acqua e armagnac, di solito a 40°
  • miscelati con altri armagnac di aziende diverse o di zone diverse
  • trattati con zucchero, caramello e boisé, per ottenere un gusto morbido ed un colore uniforme tra le varie partite
  • talvolta distillati con metodo charentais, cioè due volte con alambicco discontinuo, a grado più elevato, per rendere meno spigolosi i distillati più giovani

Le analogie con il cognac sono evidenti. Si tratta di una strategia commerciale, che rende l’armagnac più facilmente accostabile dal grande pubblico, perché così ne viene spento il fuoco alcolico – ricordiamo che l’armagnac normalmente reca una gradazione da 44° a 49° – ed arrotondato il suo gusto usando gli stessi additivi del cognac. Quindi meno attacco, meno concentrazione, meno aromi, meno alcool, più morbidezza data dallo zuccheraggio, e retrogusto evanescente. Nessuna dote positiva, se non quella di aumentare la platea dei possibili clienti.

I vantaggi per gli imbottigliatori sono immediati e numerosi:

  • meno tasse – si pagano sulla % di alcool della bottiglia
  • più resa – un armagnac diluito riempie più bottiglie
  • nessun vincolo di cru o di provenienza da aziende determinate
  • approccio facile al consumatore – spesso spaventato da gradazioni alte
  • vendita immediata – non c’è bisogno di aspettare la lenta maturazione dell’acquavite

Bastano queste ragioni per rendere evidente come il mercato sia ormai orientato in gran parte a fornire questo tipo di armagnac, a spese della tipicità e della sincerità di un distillato antico e schiettamente artigianale.

Se con il vino si fa di tutto per cercare terroir, concentrazione e tipicità, produrre questi armagnac ottiene l’effetto opposto: meno qualità e più quantità. Ovviamente non stiamo affermando che gli armagnac assemblati siano sempre cattivi, tutt’altro, ma è fuor di dubbio che non contengono l’anima verace del distillato guascone.

La gamma di armagnac mention d’age della maison Darroze – l’immagine mostra bene gli stadi di invecchiamento – dal sito aziendale Darroze http://www.darroze-armagnacs.fr

Un grosso problema inoltre è l’accumulo degli stock: questo costringe i produttori a vendere come armagnac commerciale anche partite di millesimato che non trovano sbocco sul mercato; significativa è la scelta della celebrata maison Darroze, che deve le sue fortune all’aver fatto conoscere nel mondo l’armagnac tradizionale dei piccoli produttori: la Casa, cedendo alla  strenua difesa della tradizione,  ha cominciato a vendere un’intera linea di armagnac con etichetta mention d’age da 8 a 60 anni per alleggerire i propri magazzini. Un mercato certamente più ampio e redditizio rispetto alla vecchia filosofia dell’azienda, ma che tradisce lo spirito del fondatore in nome del dio Dollaro.

A discolpa dei produttori – ognuno di loro produce una qualche sorta di armagnac commerciale – è il fatto che così facendo arriva più velocemente capitale fresco che non col metodo tradizionale: fonte indispensabile quindi per stare sul mercato. Tenete conto che l’armagnac è nella maggioranza dei casi un prodotto artigianale collaterale di un’azienda agricola, e il più delle volte rappresenta solo una modesta parte delle sue entrate: quando va (molto) bene un produttore vende qualche migliaio di bottiglie all’anno, più spesso ancora meno. Per cui avere un cash flow più rapido permette di mantenere in vita produzioni altrimenti svantaggiate dal lato economico.

I distillatori del Bas Armagnac delle Landes lo riconoscono senza problemi: l’armagnac tradizionale è già oggi un prodotto “esclusivo”, che richiede un consumatore preparato e disposto a comprenderne pazientemente le sue caratteristiche uniche. Qualcuno di loro arriva a temerne la sparizione, a favore del fratello annacquato. Vorremmo essere più ottimisti.

Il vignaiolo della Guascogna,  quando andate a trovarlo per assaggiare il frutto del suo lavoro, vi farà capire che non è il caso di giudicare l’armagnac da quello fatto per essere venduto alla svelta, ma che la “trippa” si nasconde nei prodotti d’annata. L’orgoglioso entusiasmo con cui ve lo offrirà è segno di quanto ancora amino il loro spirito focoso.

Non dimenticate che l’armagnac di annata a confronto di quello (per necessità) commerciale è un mondo infinitamente più ricco di soddisfazione per il palato, così come potrebbe essere un cru di Barolo a confronto con un fratello da supermercato. Il secondo aiuta a far vivere il primo. È un’amara legge, ma business is business !

Scegliete voi cosa preferire, facilità o complessità.

© 2015 il farmacista goloso (riproduzione riservata)

 

 

01
Set
15

L’armagnac millesimato

Una delle particolarità dell’armagnac tradizionale è di offrire, apparentemente in modo inesauribile, quasi tutte le annate del 1900.

La differenza con il cognac salta all’occhio subito: dove questo cerca di celare l’età del distillato sotto sigle misteriose e mariages sempre poligamici, l’armagnac tradizionale si vende puro e vergine, con tanto di anno di nascita e di “messa a riposo”.

Dalle mani del vignaiolo al vostro bicchiere - armagnac tradizionale - da www.armagnac.fr

Dalle mani del vignaiolo al vostro bicchiere – armagnac tradizionale – da http://www.armagnac.fr

Quindi uno degli atout dell’armagnac è di poter essere regalato al vostro zio o nonno, pur se di età veneranda, con la sua stessa data di nascita, anche se probabilmente senza lo stesso invecchiamento. Di solito questo raramente oltrepassa i 40 anni.

Ma si tratta solo di un’abile tecnica di marketing, o è realmente possibile?

Tradizionalmente l’armagnac superiore a 10 anni viene venduto in questo modo: la bottiglia riporta l’anno di distillazione, e su una contro-etichetta quella di messa in bottiglia. Per cui un distillato del 1980 messo in bottiglia nel 2000 vi indicherà un invecchiamento in botte di 20 anni.

Possiamo fidarci di chi ci vende un prodotto che magari pretende di essere più vecchio di nostra madre, senza dubitare che negli anni sia stato “allungato” o pasticciato da sembrare invecchiato più di quello che è, al contrario di quanto cercano di fare gli uomini, e le donne? Ecco la verità.

Armagnac millesimati – dal sito istituzionale http://www.armagnac.fr

Intanto, nell’armagnac NON esistono annate migliori, a differenza del vino. Se chiedete alla James Bond un Dom Perignon 1959, con l’armagnac 1959 potrebbe andarvi male. Troppe nei distillati sono le variabili in gioco da maison a maison, e da botte a botte, per definire una vendemmia perfetta. Quindi, non vi conviene pretendere una data determinata sulla bottiglia; se potete, assaggiatene diverse, tenendo a mente che il vostro gusto è il primo parametro: cercate finezza, potenza, lunghezza, frutto?

Anche la durata dell’invecchiamento non è un fattore determinante: NON è vero che più invecchiato = più pregiato. In linea di massima gli armagnac dànno il loro meglio da 15 a 25-30 anni di maturazione in botte; oltre tendono a prendere troppo gusto tanninico dal legno e a perdere frutto ed eleganza, lasciando in bocca un retrogusto asciutto ed amaro.

Un millesimo 1965 per esempio non è detto sia meglio di uno 1990, anzi spesso non lo sarà affatto. Il più delle volte inoltre i vecchi millesimi NON hanno speso in botte tutti i loro anni, poichè raggiunta la maturità vengono trasferiti in bonbonnes ovvero damigiane, che ne fermano l’evoluzione.

Non avrete quindi certezza alcuna che un armagnac del 1965 abbia speso tutta la sua vita in botte; può benissimo succedere che sia stato messo in vetro nel 1990, ed imbottigliato nel 2015; per cui, se apparentemente è un armagnac di 50 anni, in realtà è un’acquavite di 25 anni. Solo ai distillati è concesso di fermare il tempo, purtroppo!

Armagnac millesimato 1945 - l'annata impossibile

Armagnac millesimato 1945 – l’annata impossibile

Infine, ma questo è un piccolo segreto che vi offro, e che terrete per voi, le annate di armagnac anteriori al 1970 devono essere considerate sospette per il motivo che fino ad allora non c’era alcun controllo sugli stock millesimati. Bastava un’attestazione del produttore, et voilà, il commerciante – detto négociant – poteva “documentare” di aver a disposizione l’annata desiderata, persino la mitica 1945, quando una terribile gelata il primo maggio di quel funesto anno annientò le viti in tutto l’Armagnac ed a Bordeaux, rendendo di fatto aleatoria qualunque raccolta. Di distillato, quell’anno, non se ne fece che qualche misera botte. Eppure, cercatela, la troverete in abbondanza, e a caro prezzo. È pressoché certo che non sarà autentica, ma di annate vicine.

Per cui quando un produttore vi offre nel suo catalogo tutte le annate del 1900 senza buchi, diffidate della serietà della Casa. Vi stanno prendendo in giro. Non tutti i négociants – che, ricordiamo detengono circa l’ 85% del commercio dell’armagnac – sono poco affidabili, ma è molto meglio rivolgersi ai piccoli produttori di serietà comprovata che hanno stock erratici. Sarete serviti meglio.

Soltanto ragioni sentimentali, quindi, vi faranno sborsare un piccolo capitale per una bottiglia di un particolare anno; non ne vale la pena. Siete stati avvisati, quindi caveat emptor !

© 2015 il farmacista goloso (riproduzione riservata)

15
Mag
15

Pensieri occasionali di un bevitore

Una filosofia di vita guascone ! – Da keepcalm-o-matic.co.uk

Andando a spasso per l’armagnac, quando domandate come mai i giovani guasconi non bevano lo spirito locale, ma whisky, i vecchi non se lo spiegano e non si danno pace. Però…

… sanno benissimo perché LORO non lo faranno mai:

Perché diavolo dovrei mai bere qualcosa fatto con quella porcheria che do ai miei polli ?!

 è la risposta abituale.

Dispiacerà agli amici della Scozia (e della Germania aussi), ma i vecchi guasconi hanno ottime ragioni da vendere e… da sposare !

08
Mag
15

Armagnac Ténarèze – le zone dell’Armagnac

L’Armagnac Ténarèze è il cru o sottozona centrale della AOC Armagnac; queste terre sono una zona di transizione tra il Bas Armagnac sabbioso e il Haut Armagnac calcareo e pietroso.

La zona prende il nome da un cammino di transumanza anteriore all’epoca gallo-romana che collegava la regione di Bordeaux ai Pirenei: secondo una tradizione si pensa che derivi dalla corruzione del latino medievale iter Cæsarum, ossia Via Imperiale (dei Cesari); la sua particolarità era di essere tracciata sullo spartiacque tra la Garonna e l’Adour, così da non dover attraversare mai né ponti né guadi; nei tempi medievali importante dettaglio: percorrendola non si pagava pedaggio a nessun signore locale !

Carta dei crus dell’AOC Armagnac – CC license – author Pinyaev

Numerosi fiumi torrentizi, di cui la Baïse è l’unico navigabile, hanno solcato le sue valli da sud a nord, creando una grande varietà di terreni e paesaggi: per questo l’Armagnac Ténarèze è un territorio la cui vocazione agricola è più diversificata del Bas Armagnac, potendo produrre vino – di cui solo una modesta parte è distillato – cereali, girasoli, colza e ospitando pascoli e grandi allevamenti di animali da cortile. Nelle sue variegate ondulazioni questa zona viene spesso chiamata la Toscana della Francia.

Vigneti nell’AOC Armagnac – sullo sfondo i Pirenei – da http://vinocamp.fr

Si estende interamente nel Gers, ed in piccola parte nel Lot-et-Garonne; la località più importante è Condom; i terreni sono a prevalenza argillo calcarea, compatti ma meno asciutti che nel sabbioso Bas Armagnac, mentre il clima è leggermente più arido e caldo.

La differenza nelle pratiche di elaborazione dell’armagnac tra Bas Armagnac e Ténarèze è minima; tuttavia in quest’ultima si tende a distillare a grado più alto da 54° a 62°, e soprattutto si coltiva poco il Baco, che vegeta male nei terreni compatti. Gli vengono preferiti Colombard ed Ugni Blanc, e oggigiorno si riscopre sempre di più anche la fine Folle Blanche detta Piquepoult, il vitigno antico dell’Armagnac, per produrre distillati più leggeri ed aromatici.

Le zone di produzione pregiate sono quelle dove i terreni perdono la loro compattezza ed il calcare cede ad un po’ di sabbia, oppure dove diventano sabbioso-argillosi (boulbènes) quindi al limite del confine con il Bas Armagnac. La migliore zona sembra essere quella attorno a Montreal du Gers.

L’armagnac Ténarèze ha la caratteristica di evolvere più lentamente rispetto al Bas Armagnac: le acquaviti sono scontrose e dure in gioventù, per poi cominciare ad ammorbidirsi e ad acquistare profondità verso il decimo anno. Hanno quindi attitudine all’invecchiamento, potendo maturare per molto tempo: le possiamo gustare nel loro splendore dal ventesimo al trentesimo anno circa. Ecco perché vengono distillate a gradazione maggiore: saranno i lunghi anni passati in botte a diminuirne la forza. Non è quindi raccomandabile bere un armagnac Ténarèze troppo giovane.

Il paesaggio del Ténarèze in estate

Il paesaggio del Ténarèze in estate

Qualitativamente l’armagnac Ténarèze non è da meno del Bas Armagnac. Questa appellation sa regalare distillati di grande complessità e struttura, focosi nello spirito, e variegati negli aromi, sebbene più rustici e spigolosi dei loro fratelli. C’è chi dice che siano le sole acquaviti a profumare di violetta, ma è praticamente una leggenda.

Non è facile trovarne in commercio in purezza, almeno in Italia.

Una nota a margine: l’armagnac senza menzione della sottozona proviene dalle miscele dei tre crus, più comunemente dai soli Bas Armagnac e Ténarèze. Non si tratterà mai di armagnac tradizionale.

© 2015 il farmacista goloso (riproduzione riservata)

15
Nov
14

Armagnac tradizionale – cos’è – caratteristiche, produttori, e zone

L’armagnac è relativamente poco conosciuto in Italia, e quel che se ne sa non è sempre del tutto chiaro.

Abbiamo già spiegato come l’armagnac assomiglia al cognac, e come se ne differenzia. Vediamo un po’ meglio questo grande distillato di Francia, il più antico certamente, forse addirittura il più antico d’Europa.

Intanto il dato fondamentale, le dimensioni della produzione: ogni anno si distillano circa da 5 a 7-8 milioni di bottiglie di questa acquavite, contro 155-160 milioni di bottiglie di cognac. Il confronto quindi è impietoso: ci sono in commercio ogni anno da 20 a 30 bottiglie circa di cognac per ogni singola bottiglia di armagnac, e la metà di quest’ultimo è venduta in Francia.

La produzione quindi è relativamente esigua: l’armagnac di qualità (una parte soltanto del distillato annuo) è di conseguenza ancora più difficilmente reperibile.

Già dal tipo di terreno l’armagnac si distingue dal cognac: infatti la maggior parte dei migliori suoli della contea è sabbiosa (sables fauves), contro i suoli gessosi della migliore regione di Cognac (Grande Champagne). Il clima del sud è certamente più caldo, ed i vitigni principali sono quattro, mentre nella Charente la stragrande maggioranza dei vini è data dal solo trebbiano detto Ugni Blanc.

Un vigneto nella regione del Bas-Armagnac – CC license – author: Jibi44

Già questi accenni fanno capire che ci troviamo davanti a differenze importanti: aggiungiamo il tipo di distillazione tradizionale diverso e ad un grado alcolico inferiore, come si diceva; l’invecchiamento senza miscelare le annate tra loro, e la riduzione del tenore alcolico per sola evaporazione (senza aggiungere acqua distillata), ed avremo il profilo completo dell’armagnac.

Queste singolarità – sia chiaro, stiamo parlando dell’armagnac tradizionale, non di quello commerciale (senza annata) – rendono questa grande acquavite affascinante, e ricca di personalità. Nondimeno l’abbondanza di aromi ed il fuoco fiero dell’alcool, quasi sempre oltre 45°, ne fanno un distillato non facilmente avvicinabile da tutti i palati.

Labastide d’Armagnac (Landes), uno dei più caratteristici villaggi fortificati della contea, con i porticati e la piazza inghiaiata – CC license – author: Jibi44

La produzione avviene in gran parte su scala familiare, ed affianca le altre attività agricole, pressoché sempre prevalenti sulla distillazione. La distillazione è spesso effettuata al domicilio del vignaiolo da specialisti per mezzo di alambicchi semoventi, a volte è il vino che viene portato dal distillatore. Le tenute provviste di alambicco, comuni nella regione di Cognac, sono qui una rarità.

I produttori che si dedicano totalmente all’armagnac si contano sulle dita di una sola mano, e praticano distillazioni esigue: queste quasi mai superano le due dozzine di barili all’anno (approx. 14000 bottiglie). I loro stock sono nell’ordine di qualche centinaio di botti al più. Nei produttori di cognac lo stock può arrivare a 1000 volte tanto.

L’armagnac tradizionale deve avere queste caratteristiche una volta in bottiglia: una grande concentrazione aromatica, un grado alcolico compreso tra 44° e 49°, nessuna diluizione con acqua, e l’indicazione d’annata della vendemmia, accompagnata dalla data di messa in bottiglia. L’indicazione del nome del domaine di origine completa l’etichetta; talvolta questo è presente anche se il distillato viene imbottigliato con il nome di un commerciante non produttore. Da giovane (meno di dieci anni di invecchiamento) non è raccomandabile gustare un armagnac d’annata, mentre tra 20 e 30 anni è il momento giusto. Ovviamente ci sono eccezioni ai due limiti della scala.

Una serie di armagnac tradizionali della maison Darroze (Roquefort), il più celebre dei commercianti di questo distillato - fonte: sito www.tourismelandes.com

Una serie di armagnac tradizionali della maison Darroze (Roquefort), il più celebre dei commercianti di questo distillato – fonte: sito http://www.tourismelandes.com

Gli armagnac tradizionali appena distillati sono crudi e spigolosi per l’abbondanza di componenti aromatici e l’alta gradazione (52°-58°): solo dopo 15 anni almeno questi composti (esteri ed acidi grassi) si saranno lentamente ossidati in botte e l’alcool evaporato, donando complessità ed il famoso rancio al distillato.

Nel cognac i crus determinano effettivamente una gerarchia qualitativa, particolarmente con l’invecchiamento. Nell’armagnac i crus contano relativamente, esistono ottimi Ténarèze così come pessimi Bas-Armagnac. La differenza la fanno i produttori piuttosto che le annate od il terreno: i Bas-Armagnac tuttavia maturano più velocemente dei Ténarèze.

Si può così capire come un armagnac d’annata, indipendentemente dalla zona di origine e dall’anno di produzione, sia un distillato potenzialmente pieno di aspetti interessanti per le caratteristiche produttive intrinseche. Non c’è garanzia che sia sempre buono, ma almeno l’acquavite vi riserverà il fascino della scoperta.

© 2014 il farmacista goloso (riproduzione riservata)

21
Ott
14

In giro per la contea d’Armagnac – parte seconda

Dopo l’unica sosta nell’Armagnac Ténarèze, ho proseguito per Eauze, la capitale del Bas Armagnac. Qui, dopo un floc nella piazza del paese, la gentile signora della pro loco mi ha fornito carte e info sui produttori, ma solo del Gers, la provincia più estesa di questo cru. Eauze, anticamente chiamata Elusa, capitale della provincia romana della Novempopulania dal tempo di Diocleziano al IX secolo d.C., espone un tesoro gallo-romano ritrovato intatto qualche decennio fa durante gli scavi nei dintorni: ben 28000 monete e svariati gioielli.

Per mancanza di tempo non ho girato i produttori del Bas Armagnac del Gers, pur essendocene di molto interessanti. La località termale poco distante, Barbotan, merita una sosta: rinomata per le sue cure ai reumatici, è un placido paesino collinare denso di hotel e condominietti per vacanze. In Francia le cure termali agli ammalati sono concesse per 3 settimane, così gli ospiti preferiscono più spesso affittare un appartamento che soggiornare lungamente in albergo.

Sconfinando nella vicina provincia delle Landes, si entra in Aquitania, la regione di Bordeaux: poco a nord di Barbotan si trova Roquefort, celebre per la dinastia di ristoratori ed affinatori di acquaviti che ha reso famoso nel mondo l’armagnac, i Darroze. Purtroppo il loro spazio espositivo era chiuso per la domenica. Il noto formaggio omonimo invece si produce a Roquefort-sur-Soulzon (dipartimento dell’Aveyron), oltre che in mezza Francia.

La parte più interessante della gita è stata il giorno dopo, quando finalmente ho iniziato a scorrazzare nel [grand] Bas Armagnac delle Landes: denominazione non ufficiale, ma che parla da sola. Qui le località, di poche anime, talvolta villaggi minimi nascosti tra campi e fitte foreste di latifoglie ed alti pini, dove una modestissima casupola o una sola stanza addossata all’antica chiesetta romanica del luogo portano la scritta Mairie (municipio) e la bandiera francese, fanno palpitare i cuori degli appassionati, come se foste tra gli chateaux del bordolese. I comuni di Le Freche, Arthez, Labastide, Perquie, Lacquy costituiscono le culle dei più rinomati produttori di armagnac. Altri ottimi produttori li trovate a ridosso del confine regionale, nel grand Bas Armagnac del Gers.

Chateau de Ravignan – Perquie – Landes – CC license – author Jibi44

Ho visitato il domaine de Ravignan, uno dei produttori più illustri dell’armagnac: si trova appena fuori il villaggio di Perquie, in posizione isolata tra i boschi: il castello, una dimora in stile Luigi XIII, è aperto al pubblico in stagione; più interessanti sono le cantine, situate poco oltre, in una modesta corte rustica chiusa da un’antica e pregevole chiesetta, e dal cimitero. La semplicità è la cifra dell’armagnac: alcune decine di botti, un ambiente buio e parecchio rustico, un bancone di legno, un cortese fattore che raccontandomi l’armagnac mi ha servito dalle bottiglie-campione diverse annate della loro produzione. È tutto qui. Ma quale raffinatezza in questa semplicità: nonostante il bicchiere inadatto, gli armagnac provati esprimevano un valore considerevole; nessun dubbio, ormai l’esperienza mi ha insegnato a riconoscere un grande distillato, e ne ho trovati almeno due.

L’annata più vecchia in vendita in questi anni è il 1981, benché il custode mi assicurasse che nelle cantine sotto il castello riposano armagnac ancora più vecchi. Ottima: piena, pura stoffa di un armagnac maturo e profumatissimo. Il 1985 invece è deludente, un distillato fiacco e poco aromatico, forse una vendemmia infelice. Bastano tre anni ancora, invece, ed il 1988 si riscatta con un’eleganza ed un retrogusto infiniti. A detta del mio ospite, non conviene degustare gli armagnac più giovani, 20 anni sono un minimo tempo perché questi distillati possano esprimersi al meglio.

Il domaine d’Ognoas – Arthez d’Armagnac – Landes – CC license – author Jibi44

Un paio d’ore dopo ero al domaine d’Ognoas: questa vasta tenuta di ben 650 ettari di cui metà a foresta e 50 vitati, al fondo di un lungo viale nei dintorni di Arthez d’Armagnac, è di proprietà pubblica; appartiene infatti alla provincia delle Landes, che la gestisce come azienda sperimentale e turistica. Qui il panorama muta: troviamo una curata e fiorita casa padronale, la reception è moderna, organizzata, e ospita un’enoteca frequentata dai turisti. La gentile madame che mi ha accolto parla un inglese fluente, e accompagnandomi nel retro mi ha “iniziato” ai segreti dell’armagnac, prelevando da una delle quattro botti appoggiate al muro una grossa pipetta che ha versato nel bicchierino a ballon in uso da queste parti. Avendo poco tempo, non siamo andati a visitare il chai, ma è bastato per gustare un ottimo distillato: il 1992, profumato di agrumi, ed un sontuoso e molto più convincente 1994, perfetto esempio di un armagnac tradizionale e fatto con molta cura. Appena un passo indietro rispetto a quelli di Ravignan, ma sempre un bere da signori.

Il più antico alambicco armagnacco esistente, e tuttora funzionante nel domaine d’Ognoas (1804) – CC license – author Jibi44

Nel pomeriggio, a spasso per Le Freche, altro paesello di grande rinomanza per l’armagnac, saltando il venerato [e costoso] santuario di madame Lafitte (domaine Boingnéres) di cui conosco già l’eccelsa produzione, ho visitato un’altra piccola azienda. Per una lunga stradella inghiaiata in mezzo a vigneti e campi di granoturco si raggiunge il domaine de Jouatmaou: l’aspetto non è molto diverso da una cascina lombarda, rustici moderni con trattori e attrezzi, qualche aiola fiorita, due cani socievoli, e di fianco la casa colonica con l’ingresso rialzato.

La sorpresa è sotto: il seminterrato su cui si fonda la casa, al quale si accede scendendo per un pertugio, è un basso antro in terra battuta, tappezzato di giornali vecchi ed argilla ancora bagnata per le recenti piogge, a causa delle aperture ad altezza del terreno. Le botti, rialzate dal pavimento, riposano in un’estrema rusticità in questa semioscurità umida e ventilata. L’accoglienza è cortese, ti offrono un bicchierino, e fai alcuni assaggi da diverse botti; la padrona di casa mi invitava ogni volta a versare sul pavimento l’armagnac non bevuto, per poterne provare uno nuovo. Mi piangeva il cuore! Qui ho provato il loro armagnac vecchio, un 1950 imbottigliato nel 2010, ormai snervato e poco interessante. Mentre il 1982 a trentadue anni di botte canta ancora allegramente la sua vita, per quanto meno ricco e potente dei fratelli che ho gustato in giornata. È contadino ed alla mano, come la sua bizzarra cantina guascone.

La bassa cantina del domaine de Jouatmaou

La bassa cantina del domaine de Jouatmaou

Ho scoperto quindi tre conduzioni completamente diverse: la tenuta nobiliare, la fattoria-modello statale, la cascina contadina; e tre armagnac del tutto tradizionali ma che riflettono l’impostazione produttiva: superbo ed orgoglioso il primo, metodico e raffinato il secondo, solido e rustico l’ultimo.

Il livello culturale ed economico del proprietario influenza infatti la qualità del distillato, a parità di territorio: determinante è l’impiego di botti nuove, sistematico nei produttori meglio organizzati e ricchi, sporadico o parziale nei contadini. Ciò non avviene nel cognac, dove la botte nuova è di uso costante per i distillati giovani.

Comincio a credere che il vero grande distillato di Francia nasca nelle sperdute campagne della Guascogna tra oche e girasoli. Più raro del suo fratello maggiore (produzione globale 5-7 milioni di bottiglie/anno di cui forse solo 1 milione con millesimo, contro 160 milioni del cognac), imprevedibile nelle varie annate, e se vogliamo pensarla un po’ romanticamente, somigliante al suo produttore.

© 2014 il farmacista goloso (riproduzione riservata)




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