Posts Tagged ‘Remy Martin

06
Feb
22

Il cognac sconfigge la pandemia – analisi dell’anno d’oro 2021

Il cognac non si è fatto sconfiggere dalla pandemia: le vendite del 2021 hanno registrato una stagione eccezionalmente felice, segno che si continua ad apprezzarlo in giro per il mondo, nonostante le restrizioni alla socialità. Che il cognac sia anche un antidoto al virus, come dicevano cent’anni fa?

Il bicchiere ideale per il cognac – da SudOuest.fr – foto di Aurelien Terrade

Rispetto al 2020 il rialzo delle vendite in valore è stato del 30,9%, e in volume del 16,2%, con un mercato di bottiglie equivalenti pari a 223,2 milioni, realizzando un fatturato al momento dell’export dalla Francia di 3,63 miliardi di euro. I profitti delle aziende tramite le filiali estere sono ovviamente maggiori quando applicano i ricarichi al prodotto.

Infografica delle vendite di cognac 2021 – fonte BNIC

La pandemia a Cognac è stata quindi debellata, considerando il rialzo del fatturato dell’1,6% sul 2019, l’ultimo anno pre-covid. La spinta come sempre è venuta dai mercati americano e cinese, che assorbono da soli circa il 70% della produzione totale di cognac di ogni anno. Il mercato cinese in particolare è cresciuto di uno stupefacente +55,8%, segno che le restrizioni al consumo di beni di lusso imposte dal governo, sia pure in chiave anticorruzione, non hanno fatto gran presa in una società sempre più ricca e disposta a spendere fortune in prodotti a forte contenuto di status symbol, atteggiamento che esplode in particolare durante il Capodanno cinese, in corso in questi giorni nel 2022.

Dall’organizzazione di filiera – il BNIC – si stima che sarà necessario incrementare le superfici vitate di circa 3000 ettari – il 4% – ogni anno, per far fronte alla domanda sempre crescente di cognac, oggi sostenuta dai generosi stock accumulati negli anni passati: ma ovviamente incapaci di reggere una domanda così robusta. Per l’anno corrente verranno messi a dimora 3129 ha di nuove vigne, sugli 80561 ettari già in produzione.

I problemi maggiori ovviamente vengono dalle corazzate del settore, che nonostante possiedano degli imponenti depositi, gigantesche cattedrali alcoliche, non riescono più a fronteggiare la domanda. La sola maison Hennessy ha venduto l’anno scorso 102,6 milioni di bottiglie, dichiarandosi incapace in futuro di servire tutto il mondo: per cui sarà costretta ad inaugurare un sistema di assegnazioni simile a quello delle maison del vicino Bordolese. La concorrente Rémy Martin ha annunciato anch’essa un rialzo delle vendite sul 2020 del 40%.

La tendenza attuale si sta orientando verso il consumo domestico a spese della miscelazione nei locali pubblici, che pure resta il perno intorno a cui gira la comunicazione delle grandi aziende, e verso l’innalzamento di gamma della domanda. Quindi non più soltanto acquisti di cognac giovani e giovanissimi, ma di qualità più mature ed espressive; complice la facile reperibilità dei prodotti, favorita anche dalla vendite online, un canale in crescita esplosiva, che è ormai praticata dalla maggior parte delle aziende produttrici, con l’esclusione dei marchi più organizzati, la cui distribuzione è strutturata da decenni e diffusa in ben 150 Paesi.

L’eau-de-vie di Cognac neonata – fonte SudOuest.fr

Il rialzo della qualità dell’offerta è anche dovuto all’allungamento dei tempi minimi di invecchiamento per i cognac di fascia XO, ed alla recente introduzione della fascia XXO (extra-extra old), come ulteriore categoria legale, per dare alle maison un’arma commerciale in più. Lo si vede nel forte incremento a valore del venduto, assieme alla generale tendenza al rialzo dei prezzi di ogni categoria di invecchiamento, prima assai cauto.

Si annunciano tempi di grandi sorrisi nelle due Charentes.

© 2022 il farmacista goloso (riproduzione riservata)

01
Set
14

Grande maison o piccolo produttore?

Da chi compro il mio cognac?

Annosa questione, che si ripete identica quando scegliete lo champagne: lo farete dalla celebre casa famosa su scala mondiale, o dal piccolo produttore noto solo ad una cerchia di iniziati ed assidui lettori di guide e riviste specializzate? Cosa possiamo aspettarci dalle prime o dai secondi?

I leader nel mondo del cognac sono 4 giganti più una manciata di grandi aziende, ed offrono fondamentalmente questi vantaggi:

• facile reperibilità dei prodotti
• packaging immediatamente riconoscibile
• rete commerciale globale
• costanza qualitativa
• notorietà mediatica

Di contro gli svantaggi consistono in:

• distillati anonimi fino alla fascia premium compresa (XO)
• prezzo elevato, che comprende i costi di marketing

Gamma di una delle Big Four, Rémy Martin – CC license – author: Newone

Mentre il piccolo produttore (boilleur de cru) offre praticamente l’inverso, quindi come pro:

• filiera in suo totale controllo
• prodotti individualizzati, con stile marcato
• costo in linea col mercato

I contro invece:

• reperibilità scarsa
• rete commerciale non specializzata (dipendenza dall’importatore)
• incostanza qualitativa
• produzione limitata
• packaging spesso anonimo o poco curato

Un piccolo celebre produttore - Jean Fillioux - rèserve familiale - CC license - author: Melkov

Un piccolo celebre produttore – Jean Fillioux – rèserve familiale – CC license – author: Melkov

La scelta quindi è quasi complementare, ciò che offrono i grandi non lo offrono i piccoli. Il paragone con il mercato dello champagne è quanto mai appropriato, e senz’altro familiare ai molti appassionati delle bollicine. Anche qui grandi case e piccoli produttori giocano su questa complementarietà.

Per il cognac la causa è la quantità degli stock e la loro provenienza: le Big Four accumulano centinaia di migliaia di botti di svariatissimi produttori da cui scegliere per creare i loro assemblages e correggere gli squilibri di un’annata poco favorevole con riserve che apportano i caratteri voluti; di qui la costanza dei loro prodotti, che li rende riconoscibili al grande pubblico. Il consumatore si aspetta che il cognac assomigli alla bottiglia precedente, e siccome il maître de chai crea i suoi blend in modo che il nuovo distillato si avvicini il più possibile al campione di riferimento, questa aspettativa sarà certamente soddisfatta.

Nel caso del piccolo produttore, che lavora solo con i vini della sua piccola o grande tenuta, lo stock a disposizione sarà limitato in quantità e qualità, permettendo di correggere le variabilità delle annate con maggiore difficoltà rispetto alle grandi maison. Allora è chiaro che, pur creando distillati con uno stile individuale (che dipende da svariati fattori), le annate faranno sentire la loro variabilità, ed il cognac non sarà mai lo stesso; il carattere artigianale (boutique cognac, dicono gli inglesi)  sarà comunque evidente.

Le grandi aziende hanno a loro vantaggio la notorietà del marchio e la facile soddisfazione del cliente, mentre pagano questo con l’anonimizzazione del prodotto; immaginate di avere un blend di 40 distillati diversi (cosa comune), con tutta la loro singola variabilità: miscelando l’ottimo col mediocre non si tornerà mai ad un prodotto ottimo, ed i caratteri dei distillati pregiati contenuti si appiattiranno.

Nei cognac a grande diffusione si usano generose quantità di distillati dei Fins e dei Bons Bois, spesso lavorati da distillerie di proprietà delle maison, o da distillerie industriali che producono per conto loro: la cura che il piccolo distillatore mette nel distillare il suo cognac qui manca, per quanto i cognac prodotti siano tecnicamente corretti. Quello che raddrizza questi cognac miscelati a centinaia di ettolitri alla volta è l’aggiunta di piccole partite di distillati vecchi e/o di crus pregiati (venduti guarda caso dai boilleurs de cru), che ne rafforzano ed arrotondano il profumo ed il corpo. Il risultato sarà sempre una miscela di distillati con modesta personalità, quale che sia il livello di invecchiamento.

Negli Extra delle grandi firme invece i blend partono dalle riserve pregiate dei “paradisi”, in cui vengono messe ad invecchiare le migliori partite acquistate. Questi cognac saranno sempre di grande soddisfazione, molto meno il loro prezzo.

Il piccolo produttore invece, che per legge può usare solo le sue uve, deve giocare allo scoperto con quello che ha; se è fortunato la sua tenuta è in una zona privilegiata del suo cru, ed allora le cose si fanno facili; altrimenti dovrà giocare con l’alambicco e con la botte per correggere la natura ingrata. Se ha le spalle robuste può permettersi di tenere diverse annate di riserva, e lavorare meglio, altrimenti dovrà vendere il grosso della sua annata alle case maggiori, ma si terrà sempre le partite migliori.

Quale che sia la situazione, avrà ereditato dagli avi uno stock e la sapienza dell’arte, e cercherà di produrre un buon cognac. A volte sarà sublime, altre volte cattivo. Non sempre boilleur de cru significa buon cognac, ma i produttori celebri lo sono perché stanno sopra la media del mercato, il più delle volte per un felice terroir, e spesso per averci unito una secolare conoscenza del saper fare.

Sintetizzando si può affermare che le grandi aziende offrono prodotti costanti, facili da trovare e corretti, ma senza emozioni. Il prezzo può essere molto spesso sopra le righe in rapporto alla qualità offerta: la semplicità.

I piccoli produttori invece vendono cognac leggermente variabili in qualità di anno in anno, molto individualizzati nello stile, e spesso di grande interesse gustativo. Ma questo non vale per tutti. I prezzi normalmente sono coerenti con la media del mercato. L’acquisto perciò crea difficoltà e sorprese a chi non conosca bene il territorio ed i marchi, ma talvolta offre grandi soddisfazioni: la complessità.

Piccolo o grande, semplice o complesso, nessun cognac è da disdegnare in assoluto, salvo i mediocri ed i pessimi.

© 2014 il farmacista goloso (riproduzione riservata)

05
Mag
14

Cina, night club e cognac: fine di un business?

Il mercato del cognac in Cina sta attraversando sempre maggiore difficoltà.

Le Big Four (Courvoisier, Hennessy, Martell e Rémy Martin), multinazionali del beverage che controllano il mercato, stanno soffrendo non solo del crollo della domanda di cognac di alta gamma, di solito robusta in occasione del capodanno cinese, in seguito all’ondata anticorruzione: le autorità della Repubblica Popolare stanno cominciando a riportare sotto controllo quella zona d’ombra fatta di night club, bagni turchi, saloni di massaggio, hostess bar,  karaoke e sale scommesse dove si pratica più o meno velatamente la prostituzione, luoghi privilegiati di intrattenimento per businessmen danarosi e per i loro clienti.

Nei primi sei giorni di campagna governativa sono stati chiusi ben 2400 locali del genere di alto bordo. E la cosa promette di continuare per parecchio tempo, secondo il Partito.

Night club, donnine e cognac: in Cina giro di vite sulla prostituzione di alto bordo

Night club, donnine e cognac: in Cina giro di vite sulla prostituzione di alto bordo. Fonte immagine: Chinabevnews

Ma cosa c’entra il cognac in tutto ciò? In Cina questo distillato è il preferito per il fascino esotico di benessere e ricchezza che porta con sé, e per un certo appeal come bevanda afrodisiaca, più o meno come in Europa si intende il consumo dello champagne. Non stupisce quindi di trovare il cognac protagonista dei drink serviti nei luoghi di intrattenimento notturno. Il consumo del distillato in questi locali conta per il 30% circa del venduto annuo cinese, una quota rilevante. Tutto il mondo è paese, cambia solo la bibita.

Chi sta drammaticamente soffrendo questo doppio giro di vite delle autorità su corruzione e prostituzione cinese, è il gruppo Rémy Cointreau, il quale dipende pesantemente dal mercato locale per i propri profitti, crollati di più del 30% nell’ultimo trimestre. Martell e Hennessy sembrano subire meno questo fenomeno, ma l’inversione di tendenza è chiara, la Cina non è più la gallina dalle uova d’oro degli anni passati. Il leader mondiale del beverage Diageo, al contrario non soffre per non avere un’esposizione rilevante sul mercato cognac in Cina, paese in cui ricava solo il 3% del suo fatturato.

Come insegna la storia, molti decenni prima della crisi di Rémy Martin la maison Camus è stata sull’orlo del fallimento per aver dipeso troppo dal mercato russo, in cui credeva ciecamente. Diversificare anche quando il vento è in poppa è sempre una carta vincente contro i rischi imprevisti dei mercati, come le decisioni politiche cinesi attuali.




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