Questa strana parola, che a noi italiani fa venire in mente il sapore rancido che prendono certi oli e grassi a contatto con l’aria, in Francia definisce un particolare aroma dell’acquavite di vino invecchiata abbastanza a lungo. Pare derivi da una parola portoghese nata per indicare una nota del vino di Oporto invecchiato.
Nella regione del cognac gli si dà anche il nome d’origine (charentais), ma questo gusto si trova altrettanto negli armagnac lasciati in botte circa 10 anni e pare anche in qualche vecchio calvados, e ha molto a che fare con il fenomeno della maderizzazione nei vini fortificati ed in certi vini ossidati (Jerez, vin jaune d’Arbois e del Giura).
Di che si tratta in sostanza ?
Di un fenomeno chimico, parente stretto dell’irrancidimento di cui si diceva sopra, ma che avviene con estrema lentezza per il contatto di alcune sostanze presenti nell’acquavite con l’ossigeno che penetra gradualmente nella botte attraverso i pori del legno.
Queste sostanze, dette esteri degli acidi grassi, che costituiscono una parte non indifferente dei composti aromatici delle acquaviti, lungo gli anni subiscono una lenta ossidazione che ne cambia il sapore, una sorta di irrancidimento “controllato” anzi totalmente desiderato: infatti le acquaviti più pregiate e ben stagionate lo sviluppano talvolta in sommo grado e sono per questo ricercatissime ed estremamente appaganti.
Nei vari stadi di invecchiamento del cognac il rancio si classifica per tipo di bouquet generato, che può andare nei distillati giovani (10-15 anni) dal vanigliato intenso al floreale scuro (rose), ai toni di noce e di spezie; nello stadio 16-25 anni si passa al gusto di frutta candita, o spezie piccanti, od oleosità di noce; oltre (30–40 anni) le note si fanno di legno di cedro, accenni di eucalipto e spezie dolci, e si trova spesso un ricordo di vecchio Porto; nei grandi invecchiamenti il rancio sviluppa sentori di frutta tropicale e legno di sandalo. Nell’armagnac invece questo fenomeno si manifesta più in gioventù (già dagli 8 anni) e a volte intensamente per la maggiore presenza di congeneri che passano nel distillato assieme all’alcool: se è prodotto in modo tradizionale, anche per non essere diluito con acqua a gradazione commerciale (40-42°).
Alcuni autori descrivono il rancio come un gusto oleoso di mandorla, noce, nocciola, secondo l’avanzare dell’invecchiamento; altri ancora ne parlano in termini di note fungose o di sottobosco, altri infine di formaggio. Come si vede c’è un vasto apparato di descrittori, e non univoci. Quel che è certo invece, è la grande piacevolezza che questi composti donano al bouquet del distillato, reso complesso e intrigante, tanto più quanto lungo è il filo degli anni.
In ogni caso si tratta di una classificazione sfuggente a parole, di cui è difficile comprendere il senso se non si assaggia un cognac rappresentativo di questi aromi. Talvolta, nonostante l’età elevata, i cognac non lo sviluppano affatto. Ma di sicuro anche senza saperlo descrivere, è uno degli aromi per cui questo distillato è tanto famoso.
Questa nota può anche essere aggiunta ai distillati con le “malefiche” arti degli enologi, i quali hanno a disposizione composti giovani o invecchiati chiamati boisé, estratti aromatizzanti legalmente ammessi sia nei cognac che negli armagnac, che apportano ombre di questa ricchezza, specialmente agli spiriti più giovani. Ma la differenza tra queste aggiunte e la complessità del rancio naturale è evidente ad un palato allenato: il segreto sta nell’equilibrio del distillato, che si ottiene inevitabilmente solo col tempo o con assemblages ben condotti.
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