Leggendo recentemente un blog (www.enoicheillusioni.com) che scrive di alcune birre a fermentazione spontanea, le belghe lambic, mi è maturata una riflessione sul gusto e la biodiversità: vi siete mai chiesti perché molti dei prodotti più gustosi in assoluto, più ricchi di sfumature aromatiche, insomma di piacere gastronomico, derivino da materie prime in cui la componente biologica (ovvero i batteri causa delle fermentazioni) è tipica ed esclusiva di un determinato territorio, per non dire di una micro-zona?
Gli esempi più immediati e conosciuti sono i formaggi a latte crudo, per i quali la flora microbica, spesso tipica di una sola vallata (es. bitto), per tacere delle differenze tra alpe ed alpe (ma qui entriamo nel campo dei gastronomi più smaliziati), costituisce un patrimonio essenziale e caratterizzante del prodotto.
Prendete l’Emmental, i cui buchi nell’impasto sono creati dalle fermentazioni insolitamente gassose dei batteri presenti sui foraggi della valle: l’aspetto del formaggio ne fa un caso tra i più conosciuti. Ma perché oggi l’Emmental non è più buono come decenni fa? Semplice: la lavorazione industriale ne richiede riproducibilità e standardizzazione, così vengono utilizzati ceppi batterici coltivati in laboratorio (i cosiddetti sieroinnesti, o fermenti lattici) e latte pastorizzato; i formaggi riescono perfetti tecnicamente, ma a prezzo di un notevole appiattimento dello spettro aromatico.
Stesso discorso per il pane, il vino, la birra, ed altre derrate in cui i lieviti e i fermenti riprodotti per tecnologia cancellano la piccola variabilità biologica tra le successive preparazioni, vuoi per l’influenza della stagione sulla materia prima (e quindi, per chi ci crede, dell’azione della Luna e degli astri), vuoi per gli altri fattori che intervengono nella creazione del prodotto, non ultima la mano dell’uomo, cioè lo spirito dell’artefice.
La riscoperta, la valorizzazione del gusto, e la tutela di prodotti come i vini a fermentazione naturale, le birre lambic, il pane col lievito madre, i formaggi a latte crudo, ed altri alimenti in cui la diversità biologica gioca un ruolo nel formare un aroma complesso, molto appagante, e sempre nuovo in ogni singolo manufatto, è oggi un argomento dibattuto e sicuramente anche una moda, credo perlopiù per reazione all’omologazione dei consumi e quindi del gusto; ma è anche un’esigenza culturale per tenere accesa la fiaccola della Tradizione, e per evitarne l’oblio.
Ecco perché il gastronomo oggi ricerca come l’oro i sapori nascosti nelle lavorazioni tradizionali! Sa ben riconoscere il valore dei prodotti in cui l’esperienza e la sensibilità creatrice, l’osservanza del ritmo della natura e la conoscenza dell’irripetibile micro-ambiente d’origine, concorrono a formare le sinfonie di gusto che nascono dalle fermentazioni non programmate dall’industria alimentare.