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02
Nov
15

brandy spagnolo: cronaca di un suicidio annunciato ?

Da qualche anno il brandy spagnolo sta vivendo delle trasformazioni inquietanti. Andiamo a vedere che succede.

Tutto nasce dalla crisi dei consumi: le vendite di brandy solera – la qualità più giovane ed economica – sono precipitate, ed i produttori sono corsi ai ripari. Come? Ma abbassando i costi di produzione, che domande!

Il brandy solera costituiva la maggior parte della produzione di distillato di vino di Jerez, più dell’ 80% del totale della denominazione, ed era la fonte principale delle entrate delle Bodegas, oltre allo sherry.

Ma come si fa ad abbassare i costi di produzione? Siccome il brandy jerezano è soggetto a denominazione di origine, quindi deve rispettare un disciplinare di produzione, l’unico modo è di uscire dal recinto di queste regole.

PRIMA DELLA CURA Brandy de Jerez solera ‘Veterano’ 36° – Bodegas Osborne – El Puerto de Santa Maria – dal sito http://www.markify.com

È esattamente quello che hanno fatto i produttori: dal 2009 le marche Veterano (Osborne) e Soberano (Gonzalez Byass) tra le grandi, e a seguire quasi tutte le altre, hanno abbandonato la denominazione Brandy de Jerez per due principali motivi.

Il primo è che così facendo possono abbassare la gradazione dei loro distillati fino a 30°; per il brandy invece deve essere di almeno 36°; il secondo, non meno importante è che possono impiegare alcool di origine diversa dal vino, melassa, patate, e cereali, soprattutto.

E quindi?

Quindi non possono più chiamarli brandy: è il prezzo da pagare alla riduzione dei costi. Difatti questi alcolici vengono denominati ‘bevande spiritose’ secondo i regolamenti EU.

DOPO LA CURA bevanda spiritosa ‘Veterano’ 33° – Bodegas Osborne – El Puerto de Santa Maria – dal sito aziendale

Ma il consumatore in tutto questo resta scottato: perché anche se non nota la scomparsa della parolina ‘brandy’ e la misteriosa scritta che la sostituisce, vede benissimo il marchio di fabbrica, immutato.

Il problema si pone anche a livello di distribuzione, perché sugli scaffali di enoteche e supermercati questi succedanei si trovano mescolati ai brandy autentici, senza distinzione di sorta, per di più con identico nome e packaging, come se niente fosse successo. Siamo al limite della frode, seppure formalmente è tutto in regola.

Così accade che il cliente ignaro, perché mica è tenuto a conoscere le sottigliezze del regolamento CE 110/2008, ricompra la ben nota bottiglia e trova che il suo (presunto) brandy è peggiore di prima, ma costa come prima. E finisce perciò a bere altro.

Potrebbe essere l’inizio della fine per il brandy spagnolo; non è improbabile che le bodegas comincino ad applicare la stessa filosofia per le loro qualità superiori solera reserva (almeno 1 anno) e solera gran reserva (almeno 3 anni) che sono ancora brandy, nell’illusione di tenere il mercato.

Pubblicità luminosa dell’una volta brandy ‘Soberano’ – Bodegas Gonzalez Byass – Jerez de la Frontera – CC license – author Xemenendura

In questo gioco al massacro danzano attori con interessi opposti: alla potente lobby spagnola dei produttori di brandy si oppone quella dei fabbricanti di alcool di vino e quella degli agricoltori, che già vedono come il fumo negli occhi l’eccedenza di vino che non finirà più negli alambicchi.

La questione ha investito anche il governo spagnolo e l’Unione Europea, perché le bodegas di Jerez, insieme alla catalana Torres, complici i produttori francesi di brandy (non cognac) invocavano la modifica dei regolamenti comunitari, per i quali solo i prodotti provenienti dalla distillazione di vino al 100% possono adoperare la parolina magica brandy.

L’idea era quella di abbassare la soglia del distillato di vino al 51% e la gradazione a 30°, per ottenere di nuovo la denominazione brandy. L’ente di tutela di Jerez ha fatto però orecchie da mercante.

La lobby italiana dei distillatori (Assodistil) rimane contraria a questo autolesionismo, ma solo perché sono le eccedenze di vino nostrane che fanno lavorare i suoi associati. Melasse, patate e cereali finiscono meno di frequente negli alambicchi italiani.

consejoregulador

La sede del Consejo Regulador de Jerez – da http://www.vinetur.com

Chi trema è il Consejo Regulador del brandy di Jerez, che ha visto perdere, con l’uscita dei prodotti di fascia bassa, il 90% del fatturato degli associati e oltre l’80% della produzione in volume, e di conseguenza le sue entrate. Fino a quando resisteranno gli attuali standard di qualità per i distillati più invecchiati ?

I francesi non permetterebbero mai di confondere così le acque con i loro distillati pregiati, cognac ed armagnac prima di tutto. Gli jerezani invece sembrano ormai in preda alla follia.

E solo perché guardano unicamente ai fatturati e temono la strada della qualità: il brandy spagnolo può ben essere ottimo, ma se abbandona la tradizione virtuosa dietro consiglio dei laureati in economia, che sembrano aver dimenticato il vecchio aforisma ‘ante lucrum nomen’, farà una brutta fine: da ‘el brandy se mueve’ – celebre slogan pubblicitario degli anni ’90 – a ‘el brandy se muere’.

© 2015 il farmacista goloso (riproduzione riservata)

25
Giu
14

il brandy spagnolo

Il brandy spagnolo contende all’armagnac la palma di distillato più antico d’Europa, benché non ci siano fonti certe di datazione. Nel tardo medioevo di Arnaldo di Villanova e di Alfonso il Savio se ne produceva di certo, ma non in grande scala. Di sicuro c’è che i guasconi impararono la tecnica distillatoria dai traffici di merci e persone attraverso i vicini Pirenei.

Tralasciando le origini nebulose, oggi il brandy spagnolo ha due principali aree di produzione entrambe a denominazione di origine, il catalano Penedés con metodi vicini a quelli francesi, e l’area di Jerez de la Frontera, dove l’uso era già secolare come rinforzo dello sherry. Quindi non si può propriamente parlare di brandy spagnolo, ma di brandy di Jerez o del Penedés.

Grappolo di uva Airen, la più coltivata in Spagna. Fonte: bodegas san José

Grappolo di uva Airen, la più coltivata in Spagna.
Fonte: bodegas san José

Tal quale non è un prodotto antico, in verità: la produzione per bevanda iniziò negli anni in cui la fillossera devastava le viti di Cognac (1875-1895 circa), e di conseguenza si aprivano vasti mercati a brandy di altre origini, compresi gli italiani; mentre sotto il nome di Holandas ne venivano già esportate quantità considerevoli dal tempo del possesso spagnolo dei Paesi Bassi, per il consumo olandese ed in parte inglese. Si trattava però di spirito non invecchiato, quindi acquavite ma non ancora brandy in senso moderno. Talvolta queste acquaviti venivano chiamate vino quemado, l’equivalente dell’olandese brandewijn.

Il celebre toro della ditta Osborne. Nato per reclamizzare il loro brandy, oggi è diventato uno dei simboli della Spagna intera.

Ci sono profonde differenze tra i brandy spagnoli e quelli prodotti altrove, in primo luogo per la varietà dei metodi di invecchiamento, e per i vitigni utilizzati.

I vitigni adoperati sono prevalentemente Airén, il quale è diffusissimo in tutto il Sud della Spagna e produce un vino anonimo e moderatamente acido adatto alla distillazione, e raramente Palomino, talvolta Ugni Blanc nel Penedés. I distillatori di Jerez si forniscono abbondantemente di Airén dalla città di Tomelloso nella Mancha dove viene estensivamente coltivato: il Palomino viene usato per lo sherry ed è insufficiente alla produzione di tutto il brandy della zona.

La distillazione avviene sia con alambicchi a colonna (prevalentemente nel Penedés), sia con quelli discontinui alla francese (alquitaras), più spesso alimentati a fuoco diretto. A Jerez sono preferiti questi ultimi, a ripasso, e per le qualità più invecchiate (solera gran reserva) soltanto questi. Non c’è un disciplinare che regola il metodo. Vengono invece regolati i tipi di acquavite prodotti, classificati in:

  • Holandas o holanda de vino: acquaviti distillate al max. a 70°
  • Aguardiente de vino: distillato tra 70° e 86°
  • Destilado de vino: a gradazione tra 86° e 95°

L’invecchiamento segue il sistema della solera tipico del prodotto spagnolo, e avviene in grandi ed alti capannoni ben ventilati nei quali giacciono cataste di botti impilate; nel Penedés si usano botti di rovere francese, mentre nella zona di Jerez l’invecchiamento prende gli usi vinicoli locali, quindi:

Schema esemplificativo del metodo solera (la solera è la fila di botti sul pavimento, le altre prendono il  nome di criaderas) - da http://wtf-pictures.picphotos.net

Schema esemplificativo del metodo solera (la solera è la fila di botti sul pavimento, le altre perndono il nome di criaderas) – da http://wtf-pictures.picphotos.net

  • Metodo Solera
  • Botti di rovere americano degli Appalachi di capacità 500 litri
  • Le botti devono aver contenuto vino di Jerez (fino) per 3 anni.

Tra le categorie di invecchiamento a Jerez si distinguono le seguenti:

  • Brandy Solera = minimo sei mesi (normalmente un anno), deve contenere almeno 50% di brandy Holandas
  • Brandy Solera Reserva = minimo un anno (normalmente due anni), deve contenere almeno 75% di brandy Holandas
  • Brandy Solera Gran Reserva = minimo 3 anni (normalmente otto anni o più), deve contenere il 100% di brandy Holandas

Due soleras di brandy della ditta Valdivia – Jerez de la Frontera

Risulta difficile datare un brandy invecchiato col metodo solera, perché ciò dipende da molti fattori, tra cui il tempo di svuotamento, il numero delle botti della solera, e la continua mescolanza tra le varie botti. Si avrà perciò un invecchiamento approssimato invece di uno databile con precisione.

Spesso per le riserve pregiate è usato un metodo, ripreso anche nel mondo del whisky da cui prende il nome (finishing) che consiste nel far trascorrere al distillato gli ultimi anni di invecchiamento in botti cha hanno contenuto vini particolari, così da prenderne gli aromi. Per cui esistono distillati che hanno trascorso un periodo in botti di sherry Amontillado, Oloroso o Pedro Ximenez, che assumono un sapore distinto. Va ricordato che le botti usate di sherry sono ambitissime tra gli affinatori di spiriti in giro per il mondo appunto per queste caratteristiche.

Il prodotto finale viene diluito generalmente tra 36° e 41°, additivato con i soliti caramello e sciroppo di zucchero, e soddisfa ampiamente la fascia bassa di mercato con le sue grandi quantità, ed è quindi comparabile alle produzioni italiane di massa; invece le qualità solera gran reserva sono un buon ingresso nel mondo del brandy spagnolo pregiato.

© 2014 il farmacista goloso (riproduzione riservata)




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