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Cognac is the new rum? – Numeri e riflessioni su un trend in salita

Anche il 2016 è stato un anno fortunato per il cognac: le vendite sono in costante aumento, +10,2% in volume e +15,2% in valore.

La passione per questo distillato, che quando è prodotto con amorevoli cure è veramente il re di ogni spirito, per quanto gli amatori di whisky sostengano il contrario, sta crescendo un po’ dappertutto. Ma la parte del leone la fa sempre il mercato statunitense, che assorbe il grosso del cognac più giovane e meno interessante, per miscelarlo.

Centonovanta milioni di bottiglie conta il venduto, con un’esportazione del 98%, per un fatturato di tre miliardi di euro. Una gran bell’industria, se pensiamo che fatto 100 l’export vinicolo italiano 2016, quello del cognac vale circa 54 da solo (!). E c’è tutto il resto della Francia poi.

La crisi è terminata anche sul mercato cinese, che ricomincia a tirare, ma nitidi segnali di ripresa si vedono anche in Europa, con un notevole +22,2% per la Germania, e un +73,3% per la Russia. Qualche vivace spunto si segnala anche in Sud Africa e nei Caraibi francesi, mercati finora poco toccati dal brandy francese.

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Un cognac artigianale – Chateau de Beaulon VSOP

A casa nostra poco si muove per ora: qualcosa però dice che il vento sta cambiando, e forse sta per incominciare un nuovo interesse per questo distillato così snobbato finora dal consumatore nostrano. Gli importatori più attenti stanno introducendo nei loro cataloghi qualche nuova Maison artigianale, ed anche qualche Maison di cognac innovativi. Anche se è certo che queste piccole importazioni non siano ancora in grado di generare un fatturato interessante per la filiera, la cosa significativa invece è l’inizio di un’offerta più ampia per il curioso che volesse sperimentare quanto predico da anni: cioè che il cognac è il distillato migliore che possiate bere. Ma finora era difficile metterlo in pratica.

Diciamolo di nuovo, a scanso di equivoci: non tutto il cognac è eccellente. Bisogna andarsi a cercare questi vignaioli-distillatori e le loro piccole produzioni da poche decine di migliaia di bottiglie/anno, non la grande azienda mondiale. Qui si annidano le gemme, ed il cognac assume la sua dimensione migliore. Quello che viene prodotto dalle stesse Maison per essere poi invecchiato e commercializzato dai notissimi marchi multinazionali nasce all’origine diverso, più standardizzato, e – si può dire? –  senza affetto. Ne ho già parlato su un altro blog.

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Un cognac artigianale vintage – Bache Gabrielsen Pure & Rustic

C’è quindi una gerarchia sottile ed ignorata dai più, all’interno dello spirito francese, che si svela solo visitando le aziende ed assaggiando i loro prodotti. E quando la grande e celeberrima Casa vuole fare un cognac d’eccezione, per intenderci quelli che trovate in vendita in lussuose caraffe che costano un rene, userà sì le proprie riserve, ma come basi. Quello che dà carattere, le bonificateur, come dicono là, l’azienda lo andrà quasi sempre a comprare, una botte o due, dai piccoli vignaioli che avranno messo da parte ed invecchiato una partita di pregio come se fosse un personale fondo d’investimento, o da grossisti specializzati in quest’arte paziente, chiamatela cherry picking se volete. Non diversamente da quello che facevano in Scozia i nostri selezionatori di single malt whisky 50 anni fa. E sappiamo com’è andata.

I cellar master delle grandi Case fanno questo, quando creano un prodotto di lusso: assemblano un prodotto invecchiato a lungo ma con un carattere relativamente neutro, o non certo straordinario, a dei cognac eccezionali che donano il quid che a loro manca, e nasce così la favolosa “riserva dell’imperatore”, oppure qualche altra etichetta destinata ad épater le bourgeois.  Vi ho svelato un segreto del mestiere.

Ne discende che se volete un cognac da urlo, dovrete andarvelo a cercare dai piccoli, pagandolo in genere ad un prezzo molto onesto. Loro ce l’hanno, e non sarà tagliato con acquaviti inferiori: miscelereste uno Château Petrus con un Merlot qualsiasi del Veneto? Ecco.

Quello che mi aspetto dai professionisti italiani della distribuzione è proprio questo: rilanciare il grande distillato francese grazie al buon gusto italiano, e diffonderne la magia nel mondo. L’Europa del Nord è già pronta ad accogliere prodotti del genere, ed anche la Cina. I grandi numeri servono, certo, ma è l’eccellenza che traina il mercato, e rende giustizia al suo valore. A Bordeaux lo sanno da secoli, a Cognac non l’hanno ancora capito, e pensano solo ai volumi: lumaconi, vengono soprannominati in zona.

© 2017 il farmacista goloso (riproduzione riservata)


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