Archivio per marzo 2013

27
Mar
13

Il salame nella vescica

Il salame cremasco nella vescica

Ogni tanto capita di trovarsi davanti a dei salumi eccezionalmente rari, come il salame nella vescica: oggi è una curiosità gastronomica frequente come un’eclisse di sole.

Il salame di questo tipo era preparato con le carni migliori del maiale insaccate nella vescica, metodo che permette al massimo di produrre un solo salame per maiale.

L’aspetto di questo salume è piriforme, con una pezzatura poco inferiore ad un culatello e di aspetto esteriore simile; si presenta pesante circa 1500-1800 grammi, e si stagiona oltre un anno, possibilmente appeso ad una trave della cantina umida; l’esemplare che ho ricevuto è stato stagionato 15/16 mesi, molto più di un comune salame. Per poter sopportare queste stagionature prolungate, il salame viene rivestito dal budello vescicale, parecchio spesso, in modo da limitare l’evaporazione e ridurre i rischi di irrancidimento della pasta.

La preparazione in vescica, una volta più frequente, è sempre stata riservata alle grandi occasioni: in alcune zone del Piemonte venivano fatti salami con la stessa tecnica con il nome di marìur e batìur (per il matrimonio / battesimo), che ne indicano le eccezionali circostanze di consumo. Mentre questo si prepara a novembre perchè sia pronto per il Natale dell’anno successivo. Per questo la pezzatura grande e la cucitura del budello rendevano il salume adatto a lunghe conservazioni senza alterarne le qualità.

Il salame cremasco nella vescica al taglio

Il nostro salame, dono di un amico generoso e buongustaio che ha la fortuna di farsi fare i salami per il proprio consumo secondo metodi tradizionali ormai scomparsi, è stato prodotto con un impasto alla cremasca, quindi macinatura media con elevata percentuale di grasso tale da renderlo morbido; l’aspetto è rosato come dev’essere ogni salame cremasco tradizionale: mai duro e mai scuro di carni.

La pelle è scura, con le tipiche fioriture biancastre dei salami stagionati, e di aspetto incartapecorito, ma si stacca bene dal salume.

Al taglio si rivela un impasto morbido, lucido di grasso (mai tagliarlo appena uscito dal frigorifero), con un bordo appena irrancidito, normale in queste lunghe stagionature.

Il profumo è di salame suino, delicato, non si avverte aglio.

Il gusto è morbido, pastoso, non agliato come spesso sono i salami cremaschi; carne e grasso si sciolgono in bocca in buona armonia, dopo il lungo contatto tra loro, lasciando un leggero retrogusto amarognolo. La salatura è equilibrata. Non è presente pepe spezzato.

Nel complesso è un salame di ottima fattura, e di pregio per la rarità della preparazione e per il rispetto della tradizione nell’impasto alla cremasca.

Molto gustoso, un vivo grazie al donatore!

19
Mar
13

degustazioni – cognac Chateau de Beaulon 12 ans

Cognac Grande Fine 12 Ans
Chateau de Beaulon (Fins Bois)

Chateau de Beaulon è una residenza nobiliare con tenuta agricola posta a pochi passi dall’estuario della Gironda, in quella parte del cru dei Fins Bois noto per un terreno particolarmente calcareo e adatto alla produzione di cognac fini.

L’attuale proprietario, Christian Thomas, rilevò la tenuta nel 1965, e da allora si dedica alla produzione di cognac e pineau seguendo metodi non convenzionali nella regione, come l’uso di fertilizzanti organici e l’impiego di vitigni ormai abbandonati nella pratica, come il Colombard ed il Montils, e soprattutto la Folle Blanche, la regina delle uve da cognac, che sta avendo un revival negli ultimi anni. L’azienda si dedica anche a metodi agronomici eco-sostenibili, insomma una sorta di tenuta-modello nella regione. Assieme a Chateau de Fontpinot (maison Frapin) questa è una delle due uniche tenute a potersi fregiare della denominazione Chateau sull’etichetta del cognac (non ha significato di qualità peraltro, giusto una curiosità).

I cognac prodotti si caratterizzando per l’eleganza degli aromi e la finezza data dall’impiego dei vitigni tradizionali pre-fillossera, che se difficili da coltivare, danno però acquaviti alquanto fini e delicate. La distillazione avviene con una piccola quantità di fecce per aumentarne l’aroma, e l’invecchiamento è superiore alla norma, avvicinandosi agli usi della Grande Champagne.

Le qualità prodotte sono:

  • un VS chiamato 7 Ans
  • un VSOP chiamato Grande Fine, di 12 anni, usando vitigni rari
  • un Napoleon di 20 anni
  • un millesimato 1983
  • un millesimato 1975
  • un Extra (dal loro Paradis)

Cognac & Cotognata ha degustato il Grande Fine.

Grande Fine 12 Ans - Chateau de Beaulon (Fins Bois)

Grande Fine 12 Ans – Chateau de Beaulon (Fins Bois)

SCHEDA DI DEGUSTAZIONE

Denominazione: 12 Ans – Grande Fine

Produttore: Chateau de Beaulon (Christian Thomas) – St. Dizant du Gua (Fins Bois)

Tipo di produttore: bouilleur de cru  particolarità: single estate cognac

Cru: Fins Bois

Qualità: VSOP     Gradazione: 40°

Invecchiamento:  dichiarato, 12 anni

Vitigni: Colombard, Folle Blanche, Montils

Prezzo: € 55-60 (2013)

Reperibilità: difficile (importatore: Giori – Volano – TN)

Note gustative: colore dorato chiaro; aroma fruttato sottile a sviluppo molto lento, con spiccata nota di quercia; moderatamente alcolico; esile montant; gusto ancora un poco aggressivo di alcool, che evolve in toni agrumati e sentori di vaniglia e legno, speziati; retrogusto corto. Equilibrio più che dignitoso.

L’alcool prevale ancora un poco sugli aromi fruttati e su qualche accenno di speziatura, di bella eleganza. Stile tradizionale, senza addolcimento o colorazione eccessivi, pregio poco comune. E’ senz’altro una buona introduzione al cognac di qualità superiore, nella categoria dei distillati giovani (VSOP), benchè questo avrebbe diritto a chiamarsi XO.

Cognac interessante per l’uso di vitigni rari, per l’origine “single estate” e per l’invecchiamento dichiarato; tuttavia fatica ad esprimersi, e rende al meglio dopo un riposo di almeno mezz’ora, svelando un piacevole fruttato con finezza e una qualche rotondità. È corto e modesto nel finale, in piena aderenza al territorio dove nasce. Viene sopravvalutato dalla critica, e purtroppo nel prezzo, come del resto un’altra nota casa produttrice dei Fins Bois, ma rientra a giusto titolo tra i cognac fini.

Valutazione sintetica

Aroma                                      

  1. 1.  Fruttato / vinosità:   3                     
  2. 2.  Aroma di legno (quercia) :   3                
  3. 3.  Alcolicità:               (1=prevalente)    2     (6=minima)

Gusto

  1. 1.  Astringenza:              (1=prevalente)    4    (6=minima)
  2. 2.  Dolcezza:   3                      
  3. 3.  Rancio:   1
  4. 4.  Ricchezza:   2                          
  5. 5.  Corpo (pienezza): 2

Retrogusto (lunghezza):   1

Equilibrio aroma/gusto:   4

Giudizio complessivo:                       25 / 60

Voti: 1= assente 2= scarso 3= mediocre 4= buono 5= molto buono 6= ottimo

© 2013 il farmacista goloso (riproduzione riservata)

10
Mar
13

Il distillato di gelso bianco (fehér eper tistza pálinka)

Oggi vi parlo di un’altra curiosità alcolica, non si tratta certo di uno spirito da mass market: il distillato di gelso bianco, un’acquavite decisamente inconsueta. Ma ormai vi ho abituato alle rarità.

Il frutto, i lombardi (ma anche i siciliani) con qualche annetto alle spalle, e qualche esperienza di vita in campagna, dovrebbero conoscerlo, vera prelibatezza: i bambini in scorribanda nei prati verso la prima estate spesso incontravano queste piante assieme ai loro fratelli gelsi neri lungo le rive dei fossi; si tornava con le mani e la lingua neri, e col mal di pancia per il troppo mangiare di queste more di albero, gustose e succose, di sapore dolce-aspro. Popolarmente queste piante, importate già dal 1400 dalla Cina per l’allevamento del baco da seta (che è ghiotto delle sue foglie), portano il nome di moroni per l’aspetto dei frutti simili alla mora. Oggi ne sopravvivono rari esemplari, qua e là nelle campagne, ed a scopo ornamentale in qualche giardino.

Il distillato di gelso bianco - ditta Zwack (Ungheria)

Il distillato di gelso bianco – ditta Zwack (Ungheria)

Il distillato invece è stato un curioso incontro durante un viaggio in Ungheria: è infatti prodotto dalla distilleria Zwack, grande azienda ungherese nota anche da noi per il suo amaro Unicum. L’azienda da alcuni anni si dedica alla produzione di distillati di frutti di qualità superiore, secondo la buona tradizione austro-ungarica, mettendo in commercio piccole edizioni numerate di bottiglie meno commerciali.

Il nome, impronunciabile per i latini è: fehér eper pálinka, che sta per acquavite di gelso bianco.

Il distillato, come sempre, è trasparente, di profumo vivo e caratteristico, che non ricorda nessuno dei più comuni frutti, l’unica debole affinità è con note di grappa bianca marcatamente dolce, mai pungente; il gusto è inizialmente molto rotondo e morbido, torna l’aroma iniziale, ma con note fruttate nuove e una sfumatura acidula; poi l’alcool ha il sopravvento pur con buona rotondità; il retrogusto persiste per un poco, ricordando le note di grappa di prima.

Questo distillato, per quanto morbido e setoso, dall’aroma del tutto peculiare, non è tra quelli che fanno venire i brividi di piacere; resta pur sempre una curiosità alcolica, e un capriccio d’alambicco; il gelso bianco purtroppo non ha una gamma aromatica da rendere ampia ed imponente la sua quintessenza, a differenza del suo simile in aspetto, il lampone, che distillato rende al meglio. Tuttavia, in competizione tra altri nel 2009 la bottiglia ha ottenuto il riconoscimento di medaglia d’oro nel World Spirits Award, un concorso internazionale per liquori con base in Austria.

ETICHETTA

ZWACK SÁNDOR

NEMES PÁLINKA

Fehér – Eper

Tiszta pálinka

Alc. 40%  0,35 l

Sorszámozott 2010/172

02
Mar
13

Produzione e commercio del cognac

La struttura della filiera della produzione e del commercio del cognac è poco conosciuta e peculiare della regione della Charente: approfondiamone la conoscenza.

Chi produce l’uva non sempre è lo stesso che la vinifica, né colui che distilla ed invecchia l’acquavite: gli attori in gioco sono numerosi, e coinvolgono una parte importante dell’economia locale.

  • I vignaioli (vignerons): sono circa 5.000 nella regione dell’AOC Cognac e producono la quasi totalità del vino bianco che verrà avviato alla distillazione, spesso da altri soggetti. Se il viticoltore è anche distillatore in proprio, assume il nome di boilleur de cru (q.v.). Essi possono anche commercializzare in proprio il cognac prodotto ed invecchiato. I viticoltori possono conferire le uve od i vini ai seguenti soggetti:
  • Il boilleur de cru: è il proprietario di vigneto che distilla (o fa distillare) il suo vino, e lo avvia all’invecchiamento nei propri locali: sono circa 4.000 soggetti. Non necessariamente è il commerciante finale del proprio cognac: più spesso lo vende, giovane o vecchio, ad intermediari, o direttamente alle principali maison, alle quali può essere legato da contratti pluriennali di fornitura. I produttori commercianti finali sono poco più di 420 soggetti, che trattano da poche migliaia fino a qualche centinaio di migliaia di bottiglie/anno, a volte solo fusti. La quota del distillato finito venduto da questa categoria rappresenta meno dell’1% del fatturato globale dell’economia del cognac.

    Un tipico alambicco di boilleur de cru di Cherves de Cognac (Charente)

    Un tipico alambicco di boilleur de cru di Cherves de Cognac (Charente)

  • Il boilleur de profession: è il proprietario di una distilleria organizzata in forma aziendale che distilla vini di altri soggetti. È il principale soggetto trasformatore del vino in cognac. Egli compra il vino dai produttori e lo trasforma in acquavite, sia per conto proprio (grossista) che per rivenderla a soggetti terzi, oppure per conto dei viticoltori a cui ritorna il vino distillato per l’invecchiamento. Alcune decine di boilleurs sono proprietà diretta delle grandi maison di commercio. Sono circa 110 aziende.
  • La cooperativa di distillazione: sono solo 4, ma riuniscono numerosi piccoli produttori i quali conferiscono il loro raccolto per la vinificazione e la distillazione. Possono restituire il cognac distillato al singolo conferente.

Questa è la struttura della trasformazione del vino in acquavite: una volta prodotta, abbiamo visto come essa verrà stoccata negli chais, per subire l’invecchiamento che la trasformerà in cognac vero e proprio.

*   °   *   °   *

Vediamo adesso i soggetti che trasformano il distillato nella forma a noi consueta, cioè la bottiglia pronta al commercio; sono essenzialmente: il boilleur de cru, già visto prima; il negoziante-speditore, il commerciante all’ingrosso, e la cooperativa.

  • Il boilleur de cru: se appartiene a quei 420 prima ricordati, è anche venditore finale del proprio raccolto: spesso si trova nei crus migliori, ma è presente in tutta la regione. Tra i boilleurs de cru si trovano i migliori ed i più celebrati produttori indipendenti di cognac. Molto di frequente si tratta di un’attività parziale, in quanto il grosso dei produttori vende una parte del suo cognac, giovane o vecchio che sia, ai negozianti, e ne riserva una quota per la propria marca. Si tratta di un’attività difficile, perché la vendita richiede un’organizzazione commerciale all’estero, e raramente le piccole case, su base familiare, dispongono di strutture o di personale adatti. Ecco quindi la necessità di sostenere il proprio reddito con la cessione di parte del prodotto alle grandi aziende che sanno fare questo lavoro egregiamente.
  • Il commerciante all’ingrosso: è di solito un intermediario che dispone di depositi in cui fa invecchiare il cognac e degli ingenti capitali che l’investimento a lungo termine richiede. Talvolta si confonde con il distillatore di professione; i suoi clienti sono le grandi maison, alle quali offre i cognac invecchiati che queste potrebbero richiedere per esigenze non coperte dagli stock aziendali. Sono circa 90, e non producono per il consumatore finale.

    L’ingresso della maison Hennessy, il negociant che ha i lruolo di ‘big player’ del cognac

  • Il negoziante-speditore: è la figura più importante del commercio del cognac: in origine, nei primi anni del 1700, questi negociants, spesso di origine inglese, olandese, o irlandese, non erano altro che commercianti all’ingrosso di fusti; col tempo le più grandi maison si sono dotate di tutta la struttura ‘industriale’ che oggi conosciamo: dallo stoccaggio in grande all’invecchiamento lungo, dall’imbottigliamento con marchio proprio al presidio del mercato mondiale, sviluppando in azienda importanti figure come il maître de chai, e gli addetti al marketing globale. Nonostante la grande dimensione, alcune aziende rimangono saldamente sotto il controllo della famiglia fondatrice; il loro volume di vendite è compreso da qualche centinaio di migliaia fino alle decine di milioni di bottiglie delle grandi case, e costituisce oltre il 99% della vendita del cognac prodotto: l’offerta è la più ampia in quantità e qualità. Le case commerciali in attività sono circa 270, di cui le prime 10 assorbono il grosso della produzione di cognac e la esportano in ogni angolo del mondo. Le grandi case, con la loro incessante e capillare attività di marketing, promuovono l’immagine e la vendita di tutti gli altri operatori della regione del cognac, oltre che la propria. Lo si può vedere bene confrontando questa notorietà con l’armagnac, che pur essendo di livello qualitativo non inferiore, non beneficia di questo ‘turbo’ a livello mondiale.
  • La cooperativa: sono solo quattro, e distillano, invecchiano e imbottigliano il cognac dei propri associati: il consumatore raramente se ne rende conto, poiché il cognac viene venduto sotto marchi di fantasia, con qualità variabili dal mediocre al molto buono; sostanzialmente sono affini alle maison dei negozianti nell’organizzazione aziendale, salvo la proprietà dell’impresa.

Accanto a questi operatori principali, esiste tutto l’indotto, che partecipa al business del cognac: tra i principali, i bottai, a cui spetta il primo posto per importanza, l’industria del vetro e delle etichette/cartoni; inoltre ci sono attività collaterali, come i fabbricanti di alambicchi, di tappi e capsule, gli spedizionieri, ed i mediatori in acquaviti (courtiers).

Come si vede, il cognac genera un mondo economico organizzato e complesso, che muove un fiume impressionante di denaro, se si pensa che la produzione vale circa 2350 milioni di euro/anno (dati 2012).

© 2013 il farmacista goloso (riproduzione riservata)




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