La celebre casa liquoristica STOCK di Trieste, produttrice di uno dei più noti brandy italiani, lo Stock 84, chiude i suoi impianti dopo 128 anni di storia.
La ditta, nata come distilleria artigianale nel 1884, e poi resa celebre dalla produzione di quello che allora poteva chiamarsi ancora cognac, che diverrà noto fino ad oggi come brandy Stock 84, ha deciso che cesserà la produzione in Italia alla fine di giugno 2012, per trasferirsi nella Repubblica Ceca.
Fondata dall’imprenditore dalmata Lionello Stock per la produzione di cognac, distillando i vini della regione di Trieste, ed utilizzando le grandi disponibilità di rovere di Slavonia (Dalmazia) per le botti, la casa triestina si era imposta alla fine dell’800 come una delle principali aziende fornitrici di cognac all’Europa, privata dal disastro della fillossera in quegli ultimi decenni del secolo di vero cognac francese. La produzione transalpina, allora enorme, fu decimata fino agli inizi del secolo successivo, lasciando spazio alla concorrenza italiana e spagnola. Oggi la proprietà dell’azienda è del fondo d’investimento americano Oaktree (Quercia).
Il celebre brandy, amato tra le due grandi guerre, e protagonista di massicce campagne pubblicitarie negli anni ’60, è entrato nel costume degli italiani, particolarmente come correttore del caffè, meno come digestivo, e anche come abituale regalo ai papà nella loro festa. Dal decennio successivo, con lo sbarco nel nostro Paese dei grandi gruppi multinazionali del whisky, è cambiata la moda del bere, ed il prodotto ha avuto un declino inarrestabile, comune a tutti gli altri brandy nazionali. Fino a quegli anni il mercato era vivace, chi ha qualche anno in più alle spalle potrà ricordarsi dei brandy Sarti, Oro Pilla, Gambarotta, Ramazzotti, Florio, e dei tuttora esistenti Vecchia Romagna Buton, e Stravecchio Branca. Oggigiorno tutto il comparto brandy è in depressione, per gli scarsi consumi interni, e per il gusto comune orientato sui distillati “bianchi” e sui cocktail.
La storia triestina dell’azienda termina qui, ci resterà solo il marchio, e il rammarico di non saper conservare le nostre aziende agroalimentari, una volta celebri, oggi quasi tutte vendute all’estero, o peggio ancora chiuse per sempre.
La tristezza di perdere un produttore italiano è aggravata dal fatto che ci lascerà i “disoccupati” con tutti i loro e nostri problemi per la loro sopravvivenza. Lascierànno a casa le persone che hanno fatto diventare “grande l’azienda” nei 180 anni di proficuo lavoro. Questi fatti ci fanno diventare sempre più poveri nel contesto Europeo.